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FICHTE
Kant compie una svolta radicale rispetto al pensiero precedente con la
sua famosa rivoluzione copernicana. Con Fichte ci troviamo
di fronte ad una svolta ancora più radicale. Il pensiero, come
la storia, procede in certi periodi con ritmi molto lenti, ma giungono
poi epoche intensissime, in cui in venti-trentanni si produce di
più che in molti secoli precedenti. Una di queste età è
quel-la della Rivoluzione francese, la cui enorme creatività intellettuale
si spiega con il fermento del passaggio da unepoca allaltra.
Gli intellettuali, gli uomini di cultura della borghesia europea guardano
allevento della Rivoluzione francese come appunto ad un evento epocale,
che porta unenorme possibilità di liberazione delluomo.
In quel momento, in cui la storia si innalza su unonda che permette
di vedere approdi più lontani, i grandi filosofi, soprattutto tedeschi,
da Kant ad Hegel, riescono a scorgere possibilità decisive di liberazione
e di progresso dellumanità. Assistiamo, già a partire
da Fichte, a quel fenomeno grandioso che è la nascita nella cultura
romantica tedesca, che, già accennata da Kant, e in un crescendo
fino ad Hegel, manifesterà una produttività intellettuale
eccezionale. Di solito erroneamente i filosofi dellidealismo tedesco,
Fichte, ed Hegel, non vengono inclusi allinterno del grande movimento
culturale, del grande momento di civiltà del Romanticismo..
Kant aveva sostenuto che tutta la filosofia precedente a lui era viziata
dal dogmatismo. Il dogma, la credenza non dimostrata, in cui la filosofia
prekantiana sarebbe caduta, era quello della presupposizione dellesistenza
di un ordine, di leggi, allinterno della natura. Kant invece sostiene
che lio è il legislatore della natura. Con Fichte abbiamo
una definizione di dogmatismo ancora più radicale, che fa ricadere
nel dogmatismo lo stesso Kant. Fichte cioè sostiene che tutta la
filosofia precedente, Kant compreso, è dogmatica, in quanto ha
creduto nel dogma dellesistenza di una cosa in sé, di un
mondo, di una realtà di per sé stante, indipendente dal
soggetto umano. Tutta la filosofia precedente a Fichte, tutta la filosofia
precedente alla fondazione dellidealismo, ha pensato che venisse
prima il mondo, prima la realtà materiale, prima loggetto
e poi il soggetto. Invece le cose stanno esattamente allopposto,
come Fichte pensa di poter dimostrare. Proprio per questo Fichte è
un filosofo difficile da capire, in quanto si pone un problema decisivo,
quello della fondazione ultima della realtà e del sapere, un problema
che tra laltro ai giorni nostri è assolutamente fuori moda,
in quanto viviamo in un periodo di relativismo, di soggettivismo. Fichte
invece, sullonda di grandi eventi storici che danno fiducia nelle
possibilità delluomo, è convinto che si possa arrivare
a una fondazione ultima del sapere e della realtà. In questo senso
la filosofia è per lui dottrina della scienza.
Che cosa vuol dire dottrina della scienza? Fichte, pensa che le varie
scienze sono subordinate a postulati, a princîpi, partono da affermazioni
non dimostrate e poi procedono con catene deduttive. Le scienze fanno
ricorso inoltre a concetti, a metodi, non discussi nellambito del
discorso scientifico stesso. Questo è vero anche per la matematica:
anchessa, che è la scienza esatta per eccellenza, parte da
postulati, cioè da affermazioni non dimostrate. Fichte invece sostiene
che la filosofia è lunica scienza che giustifica i fondamenti
dei suoi stessi princîpi, è capace di autofondarsi e quindi
è superiore alle altre scienze. In questo senso la filosofia è
dottrina della scienza, cioè è la dottrina dei
fondamenti ultimi, che sono decisivi anche per tutte le scienze.
In questa affermazione così decisa di un fondamento ultimo, Fichte
parte da questa considerazione: ci sono due possibilità di approccio
alla conoscenza, una è quella di partire dalloggetto, dalla
cosa, dalla realtà, laltra è quella di partire dal
soggetto, dalla coscienza. Tutti i filosofi precedenti sono accomunati
nella critica di aver preso le mosse dalloggetto, dalla cosa, dalla
realtà, Fichte invece sostiene che bisogna partire dal polo opposto,
cioè dal soggetto, dallio, dalla coscienza. Fra Kant e Fichte
si è verificato uno sgretolamento del concetto di cosa in
sé, che permette a Fichte di affermare con molta decisione
che bisogna partire dallio, dal soggetto, eliminando completamente
la cosa in sé. Il criticismo kantiano suscitò un dibattito
intenso, e il risultato di questo dibattito fu lo sgretolamento del concetto
di cosa in sé. La posizione dellio, che Kant aveva installato
al centro dellattenzione, sostenendo che tutta la conoscenza è
fenomenica e tutto è quale appare al soggetto, che ha una collocazione
centrale, viene lentamente consolidata.
Fichte parte dal fatto che cè una conoscenza, cè
una esperienza, cè unintelligenza delle cose, cioè
cè un legame fra soggetto e oggetto; ora si tratta di capire
se vengono prima le cose o viene prima lio, viene prima la coscienza.
Fichte nella Dottrina della scienza afferma: «Nellintelligenza
dunque, per usare unimmagine, vi è una doppia serie, dellessere
e del guardare, del reale e dellideale [in altri termini ci sono
loggetto ed il soggetto]; ed è appunto nellindivisibilità
di questa doppia serie che consiste la sua essenza, la quale è
dunque sintetica, mentre invece alla cosa non compete che una serie semplice,
quella del reale e cioè dellesser posto. Intelligenza e cosa
sono perciò direttamente opposte, si trovano rispettivamente in
due mondi, tra i quali non cè ponte di passaggio».
Sembra unaffermazione complessa, e in verità Fichte è
uno dei filosofi più difficili di tutta la storia della filosofia,
ma è possibile una spiegazione chiara di questa frase. Lintelligenza,
il sapere, la coscienza, il soggetto, lio da una parte e le cose
dallaltra fanno parte di due mondi tra i quali non cè
ponte di passaggio. Lempirismo ed il razionalismo, ma anche Kant
stesso, si sono trovati di fronte a un problema irresolubile perché
sono partiti da una concezione dualistica: ci sono le cose e cè
lio, ci sono le cose che precedono lio, ma Fichte rileva che
se si parte dalle cose non si riesce ad arrivare allio. Gli empiristi
si sono sforzati di arrivarci con il metodo induttivo, ma sono caduti
nello scetticismo. I razionalisti con il metodo deduttivo a priori, ma
il metodo deduttivo a priori, come già Kant ha dimostrato, implica
un salto non giustificato, un passaggio indebito dal mondo delle costruzioni
intellettuali al mondo reale. Kant stesso è caduto nel dualismo
tra fenomeno e cosa in sé, tra realtà filtrata dal soggetto
e realtà oggettiva in se stessa. In forma nuova il dualismo tra
soggetto ed oggetto è rimasto anche in Kant.
La prima formula della dialettica di Fichte è: Lio
pone se stesso, lio nel porre se stesso pone sé come
soggetto, ma anche come unentità, come una cosa, quindi,
ponendo lio come inizio, si pongono sin dallinizio lessere
e il sapere, la cosa e lintelligenza della cosa, loggetto
ed il soggetto. Se pongo come primo loggetto, la cosa, il mondo,
non riesco a capire come scaturisce lio; la nascita dellio
si spiegherà solo dal punto di vista genetico, della teoria dellevoluzione,
che però è un fatto esteriore, è un fatto empirico,
è un fatto scientifico, ma da un punto di vista logico debbo porre
allinizio lio, perché nellio ritrovo immediatamente,
automaticamente, anche la cosa, cioè ritrovo tutte e due le serie,
la serie della realtà e la serie della conoscenza, la serie del
non-io e la serie dellio. Lio come prius assoluto permette
di ricavare il non-io dal proprio interno perché ce lha già
costitutivamente dentro, mentre invece se partissimo dal non-io, dalloggetto,
dal mondo, non potremmo più risalire allio. Infatti la filosofia
precedente è naufragata perché non riesce a compiere questo
passaggio e deve fare un salto dogmatico.
Continua Fichte: «Non vi è nulla di posto originariamente,
tranne lio; e questo soltanto è posto assolutamente. Perciò
unopposizione assoluta non può aversi se non ponendo qualcosa
di opposto allio. Ma ciò che è opposto allio
è non-io. Allio è opposto assolutamente un non-io».
Nel momento in cui noi poniamo lio, nello stesso momento (è
un momento secondo solo dal punto di vista logico, ma è
contemporaneo dal punto di vista cronologico) noi poniamo pure il non-io
e ci ritroviamo tutte e due le serie, la serie del soggetto e la serie
delloggetto. Per quale motivo? Perché lio è
coscienza, ma la coscienza è sempre coscienza di qualche cosa,
non esiste una coscienza vuota, quindi quando pongo lio, la coscienza,
pongo anche loggetto della coscienza, pongo anche il contenuto della
coscienza, cioè pongo anche quello che non è coscienza.
Visto che coscienza è sinonimo di io, nel porre quello che non
è coscienza, pongo il non-io. Come dice Fichte: «Lio
nel porre se stesso pone il non-io», perché lio è
coscienza, ma la coscienza è come uno specchio, e anche se rispecchia
il vuoto pur sempre rispecchia qualche cosa; la coscienza implica proprio
costitutivamente in sé il concetto di essere coscienza di qualche
cosa: se una coscienza non è coscienza di qualche cosa non è
coscienza. Coscienza per gli idealisti non significa il sentimento morale,
ma indica la consapevolezza. Essere consapevoli significa sempre essere
consapevoli di qualche cosa, quindi, come nello specchio ci sono sempre
lo specchio e la cosa che viene rispecchiata, limmagine riflessa,
così nella coscienza cè sempre la coscienza e quello
che è oggetto di coscienza, ci sono sempre lio e il non-io.
Questo legame non vi è nuovo, in quanto il primo grande esempio
di questo tipo di ragionamento lo avete trovato in Parmenide, il quale
ha sostenuto che il pensiero è inscindibile dallessere: grosso
modo è lo stesso tipo di intuizione di Fichte. Non può esistere
un pensiero che sia pensiero di niente, perché, ammesso che il
pensiero sia il pensiero anche del niente, del vuoto, della morte, della
nullità, la mente ha per oggetto il nulla, ha per oggetto il vuoto
e quindi ha pur sempre un oggetto. Già Parmenide ha sottolineato
che il pensiero è sempre inevitabilmente correlato allessere.
Allora, se prendo come entità di partenza il pensiero, la coscienza,
mi ritrovo automaticamente dentro di quella anche lessere e se il
pensiero lo chiamo io, mi ritrovo qualche cosa di diverso dallio,
cioè mi ritrovo il non-io. Quindi lio pone se stesso: primo
momento della dialettica. Secondo momento: lio, nel porre se stesso,
pone il non-io, inevitabilmente.
«Dalla proposizione materiale [avente cioè un suo proprio
contenuto, che è appunto lio nella sua identità con
se stesso] io sono, derivò, facendo astrazione dal suo contenuto,
quella puramente formale o logica A=A». Che cosa significa che questa
proposizione è materiale? Fichte qui polemizza con Kant perché
vuol dire: «Quando affermo che lio pone se stesso, pongo non
solamente la forma del conoscere, a cui Kant si era limitato, ma pongo
anche un contenuto». Implicitamente vuol dire che Kant ha avuto
questo limite, che ha fatto un discorso sulla metà della conoscenza,
cioè ha fatto il discorso della Critica della ragion pura, dove
per pura si intendono strutture puramente formali, ma ha lasciato
fuori il contenuto, e quel contenuto poi risale alla misteriosa e impenetrabile
cosa in sé, e quindi si è ritrovato col dualismo di cui
dicevamo. Con laffermazione che lio pone se stesso, si parte
invece da unaffermazione che è contemporaneamente forma e
contenuto, in quanto ha come contenuto lesistenza di quella cosa
che è lio. Mentre il punto di partenza di tutta la filosofia
kantiana è soltanto la forma, e di fronte a questa forma si erge
sempre il contenuto e si rimane allinterno del dualismo, per Fichte
il contenuto è presente già nella forma, quindi il dualismo
è superato.
Perché è così importante il superamento del dualismo?
Qual è il problema? Kant a un certo punto nella Critica della ragion
pura dice che luomo è prigioniero della propria soggettività,
delle proprie forme, del fenomeno, e non si può avventurare alla
conoscenza del reale, del mondo, perché il mondo è impenetrabile,
è come loscuro mare che circonda unisola. In altri
termini, luomo di Kant è un uomo prigioniero della propria
soggettività, ma se è prigioniero della sua soggettività,
non conosce veramente il mondo, perché la cosa in sé nella
sua oggettività è impenetrabile. Questo significa che luomo
ha un forte limite, anche nella sua azione. Fichte crea una filosofia
su basi rigorosamente fondate dal punto di vista logico per la quale luomo
ha una potenza sconfinata, perché non è estraneo alla natura,
non è circondato da una cosa in sé come Kant sostiene. Luomo
di Fichte produce egli stesso il non-io, quindi il non-io, il mondo, la
natura, la realtà, non gli sono estranei; la filosofia di Fichte
si avvia (perché poi il pieno compimento di questo processo si
avrà in Hegel) ad essere una filosofia fortemente monistica, in
cui cè una sola realtà. Ma il fatto che ci sia una
sola realtà, per luomo significa che egli è padrone
di quella realtà, che il pensiero è pienamente compenetrato
allessere, lio può dominare il non-io, cioè
luomo può essere il signore del mondo. Si tratta di una filosofia
che dà alluomo la base di un possibile progresso indefinito,
come vedremo poi nella seconda parte della filosofia di Fichte.
Torniamo alla prima affermazione: «io sono io», che è
una posizione di forma e contenuto contemporaneamente. Da questa affermazione
si astrae laspetto formale che è il primo principio della
logica, il principio di identità A=A. «Dalla proposizione
annunciata nel presente paragrafo deriva, per legge dellidentica
astrazione, il principio logico A=non A, che io chiamerei principio del-
lopposizione». Si tratta di un aspetto che considereremo meglio
nella dialettica hegeliana, va sottolineato però che qui si apre
un altro discorso di estrema importanza. Nella situazione precedente a
Fichte, A=A e B=B, ma questo è il mondo della separatezza, delle
cose esterne le une alle altre, per cui esiste la realtà A e la
realtà B, esiste luomo ed esiste il mondo, esiste la ragione
da una parte, esiste la storia dallaltra, sono realtà diverse
e non comunicanti tra loro, perché vale il principio di identità.
Quando abbiamo parlato delle antinomie della ragione in Kant, abbiamo
visto che egli è fermo a una dialettica dicotomica (cioè
a due termini): cè la tesi e lantitesi, cè
A e cè B, A=A e B=B, queste due entità non comunicano
tra loro. Invece dire che A diventa uguale a non-A, cioè lio
dà luogo al non-io, significa che cè unessenziale
unità delle cose, allinterno delle quali si viene a sviluppare
la contraddizione.
Solo in apparenza stiamo parlando di entità astratte: il pensiero
dialettico, che sboccia con Fichte e si realizza in Hegel, è stato
poi messo da parte insieme con le aspettative di emancipazione dellumanità
maturate con la Rivoluzione francese: dal 1789 al 1848 la borghesia fa
la sua rivoluzione, pensa di poter emancipare tutta lumanità,
combatte in nome della libertà, della fratellanza e delluguaglianza,
dopo il 1848 essa si rende conto di non essere una classe emancipatrice
in via definitiva in quanto essa stessa opprime unaltra classe,
si trova sulle barricate del 48 gli operai, i proletari, arresta
lo sviluppo della sua più grande cultura e in buona parte la rimuove,
la dimentica. Dopo il 1848 siamo entrati in un periodo di decadenza culturale
che continua fino ai giorni nostri. Il grande pensiero borghese nato a
ridosso della Rivoluzione francese con la prospettiva dellemancipazione
completa dellumanità, della liberazione di tutte le sue energie,
è il pensiero che la stessa cultura dominante ha dovuto dimenticare
in favore del pensiero della decadenza, cioè del positivismo da
una parte e dellesistenzialismo dallaltra. Il grande pensiero
fichtiano ed hegeliano è stato cancellato, non è più
qualche cosa di vivo nella cultura contemporanea. Il fatto di affermare
esclusivamente la mentalità secondo cui A=A e B=B dipende in qualche
modo dalla speranza patologica della borghesia che la storia si sia fermata,
perché invece se la storia è autocontraddittoria, il fatto
che al feudalesimo è venuto a succedere il capitalismo implica
che a questo succederà qualche altra cosa, un nuovo assetto dei
rapporti umani. Per questo la borghesia cancella il pensiero fichtiano,
hegeliano, dialettico, e torna a modalità di pensiero precedenti,
convincendosi che le cose sono ognuna semplicemente uguale a se stessa.
Procediamo con la lettura. «Il non-io, solo in tanto può
essere posto, in quanto nellio, nellidentica coscienza a se
stessa, è posto un io al quale il non-io può essere opposto.
Ora, il non-io deve essere posto nella coscienza identico a se stesso,
ed in questa medesima coscienza deve essere posto anche lio [lio
empirico] in quanto opposto al non-io». Viene sostenuto che se allio
si contrappone il non-io, lio non è più lio
iniziale assoluto, ma diventa qualche cosa di diverso, in quanto viene
limitato, non è più lio assoluto (assoluto significa
ab-solutus, cioè sciolto da vincoli), assolutamente libero. Nella
prima fase della dialettica lio pone se stesso, cè
solo lio: già abbiamo detto a proposito di Kant che la libertà
consiste nel non avere costrizione esteriore; lio originario, essendo
solo, è assolutamente libero, è assoluto appunto,
è sciolto da vincoli, è libero. Allorigine per Fichte
cè lio, ma questo equivale a dire che allorigine
cè la libertà, perché lio non è
condizionato da niente fuori di sé, nel primo momento logico non
ha un non-io che lo limiti, quindi è assoluto, è del tutto
libero. Il cominciamento, linizio logico della realtà è
lio con la I maiuscola, ovvero la libertà, ovvero
lassoluto.
Abbiamo detto però che lio, essendo coscienza, immediatamente
deve contrapporre a sé un contenuto, cioè un oggetto, un
non-io, ma nel momento in cui cè un non-io che si contrappone
allio, lio non è più io con la I
maiuscola, illimitato, assolutamente libero, bensí è limitato
dal non-io, e quindi diventa un io limitato, cioè un io empirico.
Il terzo momento della dialettica è dato da questa formula: lio
oppone, nellio, allio divisibile un non-io divisibile. La
terza fase della dialettica è la nascita degli io empirici, dei
soggetti umani concretamente esistenti, gli io divisibili, limitati, opposti
al non-io.
Lio empirico a questo punto non è semplicemente luomo
di una razza, di un paese, luomo è la scaturigine dellio
con la I maiuscola, cioè dellio assoluto, della
libertà assoluta, di conseguenza la sua vera natura è la
libertà, e tutta la vita delluomo, dellumanità
nel suo complesso, nella sua interezza, sarà uno sforzo di riattingimento
della libertà superando di volta in volta gli ostacoli che sono
posti dal non-io. La storia sarà la storia del tentativo di ritornare,
metaforicamente, alla situazione di io puro, di io assoluto, di assoluta
libertà. Tutta la storia umana sarà la storia della progressiva
liberazione delluomo, liberazione dal non-io, cioè da quello
che non è umano, da quello che non è razionale. Il non-io
da cui luomo si deve continuamente liberare potrà prendere
tantissime forme, prima di tutto quelle dellostilità della
natura . Per Fichte luomo è condizionato per esempio dalle
intemperie, è condizionato dalla furia degli elementi, dalle piene
dei fiumi, da tutti gli aspetti ostili della natura, e cerca di vincerli
con la propria ragione. Luomo è condizionato dalloscurità
della notte, che gli incute terrore, gli impedisce di lavorare, allora
cerca mezzi per vincere il non-io delloscurità, delle tenebre
e inventa strumenti per rendere chiara la notte. Luomo è
schiavo delle malattie, ma sempre più la storia dellumanità
è una storia di vittoria contro le malattie, che costituiscono
limitazioni della libertà delluomo. Tutta la storia delle
scienze, della tecnica, tutta la storia dellumanità è
una storia di progressivo avanzamento della libertà, in quanto
luomo allarga la propria zona di indipendenza rispetto alla natura.
Il non-io è tutto quello che non è ragione, quindi il non-io
si può annidare anche nelluomo stesso. Prima di tutto è
presente nella società, nelle tirannie, in tutte le forme in cui
la libertà dellindividuo è conculcata, è ostacolata.
La storia è storia di liberazione delluomo dalla schiavitù,
dalle oppressioni, dai dispotismi. Luomo si deve liberare anche
da un non-io interno, in quanto allinterno delluomo non cè
solo la ragione, ma ci sono anche quelle che Kant ha chiamato inclinazioni.
Quindi luomo deve lottare per superare anche gli ostacoli interni
alla propria liberazione. La propria liberazione consisterebbe nellarrivare
alla libertà assoluta, cioè alla razionalità assoluta,
alla coscienza assoluta delle origini: libertà, come per Kant,
coincide con razionalità. Rispetto a questo luomo ha molte
passioni e inclinazioni che lo spingono in altre direzioni.
Siamo in presenza di una visione titanica delluomo (il titanismo
è uno degli aspetti del Romanticismo): per Fichte luomo,
come un titano, continuamente lotta contro il non-io, contro la natura,
contro gli altri uomini che ostacolano la sua libertà e contro
gli ostacoli interni che porta dentro di sé alla propria libertà.
È una visione molto bella del destino umano: una volta che luomo,
per Fichte, ha superato uno di questi ostacoli, quindi ha ampliato la
libertà, vede riemergere a un livello superiore, a un livello più
complesso, unaltra forma di ostacolo, cioè un altro aspetto
del non-io, e deve continuamente proiettarsi contro questi nuovi ostacoli
e superare le nuove manifestazioni del non-io per affermare lio,
cioè lindipendenza da ogni condizionamento, la libertà.
È chiaro che questo compito è infinito, che le generazioni
non bastano per arrivare a esaurirlo: lindividuo, ma anche intere
nazioni, intere generazioni non bastano per raggiungere la libertà,
anzi la libertà è qualche cosa che nella sua purezza è
irraggiungibile.
Luomo progressivamente amplia i propri orizzonti di libertà,
ma non ci si può illudere sul fatto che possa raggiungere la perfetta
libertà, cioè ritornare allo stadio di io assoluto. In questo
mi pare importante accennare a un parallelo significativo con la poesia
di Foscolo. Foscolo è vissuto più o meno contemporaneamente
a Fichte, è morto tredici anni dopo. Anche se Foscolo è
vissuto in Svizzera e conosceva il tedesco, probabilmente non ha letto
Fichte, ma questo tipo di impostazione della visione della storia umana
era qualcosa che circolava negli intelletti più lucidi di quelletà,
che aveva vissuto lempito di libertà della rivoluzione, e
poi, nel caso di Fichte e di Foscolo, le lotte di liberazione contro Napoleone,
che avevano portato a una ripresa degli ideali di libertà, intesa
anche come libertà dei popoli. Fichte ha scritto i Discorsi alla
nazione tedesca proprio per sollevare lo spirito tedesco contro linvasione
napoleonica. Dopo la Rivoluzione francese, il tema della libertà
come libertà dei popoli aveva avuto una larghissima circolazione,
era presente in Fichte, era presente in Foscolo. Ci sono in Fichte espressioni
che ricordano la filosofia implicita nei Sepolcri di Foscolo: noi abbiamo
un compito di progresso, questo compito di progresso non lo portiamo avanti
soltanto noi della nostra generazione, esso viene continuato dalle generazioni
che si succedono le une alle altre; bisogna andarsi ad ispirare ai sepolcri
dei grandi proprio per attingere energie per portare più in avanti
il compito di progresso, il compito di libertà. Cè
in Foscolo lo stesso concetto di Fichte di un compito che è di
tutta lumanità, che le generazioni si passano luna
allaltra come corridori a staffetta che si passano un testimone.
Cè anche una fortissima analogia nel concetto di immortalità,
perché per Fichte limmortalità delluomo consiste
nellimmortalità del compito che si è dato: sono mortale,
ma divento immortale perché il piccolo aiuto che posso dare allampliarsi
degli orizzonti umani, il piccolo contributo che posso dare alla libertà
delluomo, si sommerà a quello degli altri, e siccome gli
altri continueranno il mio compito di libertà, io sarò immortale,
nel senso che quello che di positivo ho fatto lo proseguirò negli
altri, o, meglio, proseguirà negli altri.
Passo alle citazioni dalla Missione delluomo, del 1800: «La
tua missione non è il mero sapere, ma agire secondo il tuo sapere:
così risuona anche nel più profondo della mia anima, non
appena io mi raccolgo soltanto un attimo e osservo me stesso. Tu non esisti
per contemplare ed osservare oziosamente te stesso o per meditare malinconicamente
le tue sacrosante sensazioni, no, tu esisti per agire, il tuo agire e
soltanto il tuo agire determina il tuo valore». La filosofia di
Fichte viene definita idealismo etico: Fichte riprende la superiorità
della ragion pratica rispetto alla ragion pura già affermata da
Kant. Per Fichte conoscere il non-io serve soltanto a capire meglio come
affrontarlo: la conoscenza è subordinata alla pratica, e la pratica
è finalizzata a superare gli ostacoli del non-io. Questa visione
implica una centralità del ruolo dellintellettuale, su cui
Fichte ha scritto unopera minore, ma importantissima, La missione
del dotto. Quale sarebbe la missione delluomo di cultura? Esattamente
quella che oggi gli uomini di cultura non si assumono: il dotto deve individuare
quali sono gli ostacoli che il non-io pone nellepoca storica, per
aiutare luomo a elaborare la strategia migliore, atta a superare
questi ostacoli. Ogni epoca storica presenta determinati aspetti del non-io,
perché abbiamo detto che, superati certi ostacoli, ne nascono altri.
Luomo di cultura ha uno sguardo più lucido, ha il compito
di guardare più lontano, cioè di vedere quali sono gli ostacoli
che si frappongono allulteriore liberazione dellumanità,
deve costituire lavanguardia dellumanità che combatte
per la propria libertà, deve essere quello che, col suo lucido
intelletto, scorge prima degli altri gli ostacoli e segna la rotta del
progresso.
Questa è la missione del dotto per Fichte, che ribadisce la finalizzazione
pratica del conoscere: «In breve, non esiste affatto per me un puro
e semplice essere, che non mi riguardi e che io contempli solo per il
gusto di contemplarlo; quello che in generale esiste per me, esiste solo
mediante la sua relazione con me. Ma ovunque è possibile solo una
relazione con me e tutte le altre sono soltanto sottospecie di questa:
la mia missione di agire moralmente. Il mio mondo è oggetto e sfera
dei miei doveri, e assolutamente niente altro; un altro mondo, o altre
qualità del mio mondo non esistono per me». Non cè
un mondo esistente di per se stesso, non esiste una realtà che
sta lì per essere contemplata: il mondo è sempre in relazione
al soggetto, ma nel senso che esso è oggetto e sfera dei doveri
e assolutamente niente altro. Come dice in un altro brano: «Il mondo
è il materiale del dovere reso accessibile ai sensi». Come
per Kant, quando si parla di io, di soggetto, si intende la ragione, non
si intendono le inclinazioni: il mondo deve essere trasformato da me per
i miei fini, dove questo me è lio penso di Kant, è
lio assoluto di Fichte, cioè è lassoluta razionalità.
Il mondo deve essere ridotto a misura delluomo, dove per uomo
si intende lessere razionale, e la libertà delluomo
coincide con la sua razionalità, non coincide con le sue inclinazioni:
si tratta delluomo con la U maiuscola.
«Non agiamo perché conosciamo, ma conosciamo perché
siamo destinati ad agire; la ragion pratica è la radice di ogni
ragione. Le leggi dellagire sono immediatamente certe per gli esseri
razionali». Anche qui si avverte un riecheggiamento di Kant: per
Kant limperativo cè, non bisogna dimostrarlo, è
una presenza nelluomo, come voce del dovere, quindi le leggi dellagire
sono immediatamente certe per gli esseri razionali. «Il loro mondo
è certo solo per il fatto che quelle sono certe. Non possiamo sottrarci
alle prime senza che per noi il mondo e con esso noi stessi si sprofondi
nellassoluto nulla. Noi ci solleviamo da questo nulla e ci conserviamo
oltre questo nulla solo mediante la nostra moralità». Perché
altrimenti si tratterebbe di un mondo che è pura esteriorità,
è insignificante, è assolutamente privo di ogni valore e
di ogni senso. Il mondo ha valore in relazione al nostro compito di progressiva
liberazione, cioè di affermazione dellio, vale a dire di
affermazione dei valori superiori delluomo.
«Posto questo collegamento, la proposizione sopra formulata: luomo
è perché è, si trasforma nella seguente: luomo
deve essere ciò che egli è, unicamente per ciò che
egli è, ossia tutto ciò che egli è, deve essere
ricondotto al suo io puro». Che cosa vuole dire Fichte? Siamo in
presenza di unaffermazione di radicale umanesimo: non cè
niente di superiore alluomo, non cè niente di superiore
allio. Qual è il compito delluomo? Quello di diventare
più uomo, cioè quello di diventare più razionale
e più libero; luomo è zavorrato, appesantito, schiacciato
dallio empirico, è diventato io limitato, deve riattingere
la propria natura di assoluta libertà, cioè deve ritornare
allo stadio di io puro, assoluto, di assoluta razionalità, deve
sconfiggere, per essere veramente uomo, tutto quello che è irrazionale
nel mondo. Questo è il compito dellumanità. Altri
motivi per giustificare lesistenza, di carattere trascendente oppure
di carattere invece egoistico, non si possono fondare: si può semplicemente
partire dal fatto che luomo esiste in quanto essere razionale e
quindi il suo compito non è altro che quello di perfezionare la
propria razionalità, di imporre al mondo la propria razionalità.
In fondo è la stessa idealità che era presente nellUmanesimo
italiano: luomo deve perfezionare la propria natura, arrivare a
realizzare in maniera più perfetta la propria natura stessa.
«Tutto ciò che egli è, deve esserlo unicamente perciò
che è un io; e ciò che egli non può essere, in quanto
è un io, egli non deve assolutamente cercare di essere».
Luomo deve tendere alla razionalità. Di conseguenza quello
che è esteriorità, quello che non è la sua interiorità,
la sua coscienza, la sua ragione, lo porterebbero a perdere se stesso.
Se luomo sprofonda nella materia (oggi si potrebbe dire nel consumo)
sprofonda nel non-io, cioè pretende di realizzarsi in qualche cosa
che è esterno a sé, e quindi, invece di realizzarsi, si
perde. Il mondo del consumo è un mondo di perdita dellio,
nel linguaggio del pensiero successivo è un mondo di alienazione,
in cui cè altro da sé, non cè lio,
ma il contrario dellio, cioè il non-io. Quindi ci si potrà
realizzare soltanto se si realizzerà la propria superiore interiorità,
cioè la razionalità. Se ci si volge ad accumulare ricchezze,
a perseguire carriere, oppure a fruire di beni di consumo tutte
esteriorità rispetto allio non si conseguirà
la realizzazione dellio, bensí la perdita dellio, il
non-io, lannientamento dellio.
«Poiché luomo è fine a se stesso, egli deve
determinarsi da sé e non lasciarsi mai determinare da qualcosa
di esterno. Egli deve essere ciò che è, soltanto perché
egli vuole e deve voler essere così. Lio empirico deve essere
determinato nel modo in cui potrebbe essere determinato eternamente. Esprimerei
dunque il principio della morale con la formula seguente: agisci
in modo che tu possa pensare la massima della tua volontà come
legge eterna per te». È chiaro che anche qui Fichte
sta seguendo le orme di Kant, ma dice qualche cosa di più forte
di Kant stesso. Kant afferma: «Agisci in modo che la tua volontà
possa valere come legislatrice universale». È come se Fichte
dicesse: «Non puoi agire immerso nella banalità, pensando
che potresti fare questo, poi potresti fare questaltro, ecc. No,
in ogni circostanza cè una sola cosa che puoi fare per ampliare
gli orizzonti della libertà. Se fai quello, ti iscrivi nella storia
delleternità, perché stai facendo compiere allumanità
che è in te quel famoso piccolo passo in avanti per ampliare i
propri orizzonti di libertà. Se tu non fai esattamente quel passo,
compi una banalità, ti perdi nel non-io, ti perdi nellesteriorità.
Devi invece agire in ogni momento pensando che quel momento è un
momento decisivo, perché in te si gioca lumanità,
ma lumanità che è in gioco in te lo è in tutti
gli altri uomini». Ogni momento in cui ci si lascia andare a unesteriorità,
a una banalità, a una dissipazione, a un cedimento al carrierismo,
allegoismo, alle inclinazioni, è un momento in cui invece
di vincere lumanità, invece di far fare quellaltro
piccolissimo passo in avanti allumanità sulla via della sua
liberazione (capire un problema, rimuovere un ostacolo pratico, ecc.)
vince lesterno, cioè vince il non-io, e allora non ci si
iscrive nelleternità, ci si iscrive nellinferno della
banalità quotidiana.
«Luomo ha la missione di vivere in società; egli deve
vivere in società; se viene isolato, non è un uomo intero
e completo, anzi contraddice a se stesso». Il cammino di liberazione
per Fichte non può avvenire se non in comunicazione con gli altri
io. Per Fichte il concetto di io non è un concetto
di carattere solipsistico, egoistico: lio è la struttura
trascendentale comune a tutti gli uomini; quando parla di io, parla in
sostanza dellumanità. Non è possibile la realizzazione
della libertà se non allinterno della comunità.
Nella fase matura invece Fichte apre la strada alla grande concezione
hegeliana dello Stato, con unintuizione singolare, ma molto importante.
Proprio partendo dal fatto che luomo è portatore di diritti,
Fichte si sofferma sul diritto di proprietà e dice che la proprietà
è ammissibile soltanto se viene conseguita in base al lavoro. È
vero che il diritto allesistenza, il diritto alla proprietà,
sono diritti inalienabili, fondamentali per luomo, però luomo
si mantiene in vita, e mantiene una proprietà quale gli serve per
sopravvivere, solamente in base al lavoro. Lo Stato ha un compito fondamentale,
cioè quello di garantire la dignità del lavoro a tutti i
suoi cittadini. Fichte sostiene che, per conseguire questo scopo, lo Stato
deve accentrare tutti i mezzi della produzione, e deve chiudersi rispetto
agli altri Stati, per poter mettere in moto tutte le proprie forze, tutte
le proprie energie produttive. Con questo Fichte inizia a delineare uno
Stato che non è semplicemente il garante giuridico delle libertà,
ma che deve fortemente agire nelleconomia, e soprattutto deve garantire
non solo formalmente la libertà dei cittadini, ma la deve garantire
sostanzialmente a partire proprio dalla dignità del lavoro per
ogni cittadino. In questo, Fichte è un precursore delle concezioni
statali di Hegel e di certi aspetti dello stesso marxismo, della filosofia
del socialismo successiva.
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