home page | argomenti per le terze | argomenti per le quarte | argomenti per le quinte  

Argomenti per il quinto anno:

Heidegger
Nietzsche
Freud
Marx
La psicologia di Nietzsche
Schopenauer e Kierkegaard
Alienazione religiosa
Feuerbach
Hegel
Fichte
Kant
Dibattito post-kantiano
Kant-la critica del giudizio
Kant-critica della ragion pratica
Critica ragion pratica - mappa
Critica del giudizio - mappa
Kant - mappa concettuale
Popper

CRITICA ALL'IDEALISMO: SCHOPENAUER E KIERKEGAARD

Critica idealismo:una delle principali critiche è di aver deviato dalle posizioni di Kant, dando una visione del mondo astratta. Tutto quello che accade non si può ridurre infatti a solo pensiero. I maggiori critici sono Schopenhouer, Feuerbach e Marx (per gli ultimi due la realtà non ha principio spirituale ma solo materia.

Schopenhouer (1788-1860):le sue opere fondamentali sono “il mondo come volontà e rappresentazione” e “i due problemi fondamentali dell’etica”. Riconosce nella realtà un principio trascendentale unico che però non è la ragione, ma c’è una realtà cieca, irrazionale non razionale. La vita dell’uomo porta a male e dolore: tutto è contraddittorio e disarmonico sia nella natura che nella società. Si pone contro l’armonia della ragione di Hegel, è pessimista. Alla base della sua filosofia sta una legge irrazionale. Tutto l’universo è pervaso da un impulso cieco che fa tendere l’uomo al desiderio di soddisfare qualcosa che però non riesce a soddisfare: ciò porta inappagatezza, infelicità. Si oppone all’ottimismo di Hegel tramite un principio fondamentale: la volontà, che è una forza originaria sempre uguale a se stessa che non vuole altro che volere. È un’energia irrazionale e si manifesta in tutte le cose. È principio immanente della natura e dell’uomo nel quale si esprime come coscienza (forma + contenuto). Volontà di per se è incosciente e irrazionale. L’individuo è annullato nel principio della volontà (così come per Hegel nella ragione): il singolo non ha alcun valore finché è soggetto alla volontà. Come Kant divide fenomeno e noumeno, l’essenza di tutto, e volontà. Il fenomeno è invece il mondo delle sensazioni, delle impressioni sensoriali, rielaborate secondo forme a priori simili a quelle di Kant, ma semplificate a tre: tempo, spazio e causa / effetto. Tra la rappresentazione e la realtà sta un velo di Maya (potere illusorio nella religione dei Maya) che avvolge l’uomo e gli impedisce di capire la vera essenza delle cose (è come un velo che sta davanti agli occhi umani e non permette di vedere le cose come realmente sono). L’uomo può però scoprire la realtà tramite l’intuizione geniale, fuori dalla conoscenza che rientra nelle sue intimità, data dalla volontà di vivere. Tutte le cose sono manifestazione della volontà.

Esse si succedono gerarchicamente e finalisticamente con ordine gerarchico (vegetale, animale uomo). L’ordine finalistico è legato alla gerarchia: tramite i suoi gradi si esprime volontà e si riconoscono in essi le idee di Platone. La volontà si oggettiva esplicandosi in due fasi:


1. nella molteplicità delle idee (platoniche), modelli universali di varie specie;
2. queste idee si individualizzano nello spazio e nel tempo e danno luogo a infiniti esseri completi e individuali, creando il mondo delle rappresentazioni.

Una contraddizione di Schopenhouer sta nel fatto che, se la volontà è cieca e irrazionale le cose non possono avere ordine finalistico e se l’individuo si perde nella volontà esso non può individualizzarsi tramite le idee.
La sofferenza portata dalla volontà di desiderare è incolmabile e infinita, l’infelicità è perenne. I desideri sono solo una pausa tra un dolore e l’altro e anche se questi non ci fossero si cadrebbe nella noia, nello sconforto. Anche quando si raggiungono i fini non si ha la felicità vera, nessun appagamento è durevole. L’uomo deve pagare con il dolore. L’uomo ha commesso una colpa, essendosi voluto liberare dalla volontà con un atto di volontà: questa autonomia lo ha portato alla sofferenza. Neanche col suicidio l’uomo si può liberare dal dolore di vivere in quanto neanche con la morte ci si libera dalla volontà di vivere. Ci si può liberare dal dolore solo tramite:
1. L’arte: contemplazione disinteressata del bello, cessazione della volontà. L’uomo intuisce l’idea e si eleva al mondo ideale dimenticandosi della sua individualità. L’arte permette la sospensione del dolore, della volontà di vivere ma è limitata.
2. Giustizia: freno dell’egoismo, della volontà di vivere dell’uomo con essa l’uomo si ricongiunge alla volontà degli altri. L’uomo esce dall’individualità e va oltre la realtà entrando in un mondo superiore.

3. Compassione: partecipazione al dolore degli altri,l’uomo vive in solidarietà, in unione spirituale con gli altri. Non essendo concentrati in se stessi ma dedicandoci agli altri ci si dimentica della propria sofferenza. Comprendendo il dolore degli altri ci fa pensare meno a se stessi.

4. L’Ascesi: annullamento della volontà di vivere, la cessazione di qualsiasi impulso, indifferenza assoluta. È la non volontà, il nirvana indiano, è la mortificazione di qualsiasi istinto: si è insensibili al dolore.

Confronto Schopenhauer - Hegel: per Hegel la realtà è ragione, tutto è razionale. Per Schopenauer la ragione è manifestazione irrazionale. Per Hegel è l’oggettivazione della volontà immanente in tutte le cose ed egli è ottimista. Schopenauer è pessimista vede in tutto la manifestazione della forza cieca. L’individuo per Hegel è strumento della ragione, annullato come per Schopenauer, finché non subentra l’ascesi, finché è soggetto alla volontà irrazionale

Kierkegaard: 1813-1855, contemporaneo di Schopenauer, rifiuta l’idealismo e il suo obiettivo è esaltare l’individualità dell’uomo contrapponendosi allo spirito assoluto di Hegel. Ebbe un’educazione religiosa rigida si laureò in teologia e visse alcuni avvenimenti, interiorizzati e ingigantiti, definiti “grande terremoto” come il fidanzamento fallito con Regina Holgen, un’accusa di un giornale alla sua filosofia, la morte del padre. Si mise in contrasto con Hegel poiché nel suo assoluto l’individuo non aveva valore come singolo. Lui contrappose la coscienza dell’uomo come essere particolare che passa da una forma di esistenza all’altra. In Hegel non si giunge mai all’esistenza. Per Kirkegaard l’essenza è un continuo fluire che si manifesta come contingenza: egli parla della categoria del singolo, dell’io, del tu e del lui che è unica realtà effettiva e aperta a infinite possibilità di scelta. Nell’universo esistono forme diverse tra loro, contrapposte, che permettono l’esistenza degli opposti (contrapposizione con ottimismo Hegel dove il male è sostituito dal bene minore). I contrari non sono eliminati e il singolo è artefice del proprio destino: sostiene il principio dell’interiorità individuale: ognuno arriva a una verità soggettiva, legata alla propria esperienza individuale. La verità individuale ci porta a vivere un dramma interiore: la verità non è soggettiva, ma si contesta solo l’oggettivismo ideologico che per Hegel annulla l’individuo. Il vero non è comunque soggettivo. Esistere per Kirkegaard significa "uscire fuori da", ovvero emergere, uscire dall’individuo inteso come essenza, frantumandosi nello spazio e nel tempo ed acquistando concretezza individuale, l’essenza si traduce in singoli uomini in uno spazio e in un tempo particolari. L’esistenza è contenenza e limitatezza perché esistono individui particolari: la limitatezza dell’essenza è fatto concreto e l’esistenza se limitata è legata al peccato e presuppone il concetto di libertà. Nella vita ci sono peccato e libertà: in contrapposizione alla limitatezza c’è però l’aspirazione all’infinito, all’eterno, alla salvezza dal peccato. Nell’esistenza ci si isola nell’individualità da una parte e si tende a Dio dall’altra. Questa opposizione non è mediata dalla dialettica (Hegel) ma i contrari sono ben definiti. L’angoscia è stato fondamentale dell’esistenza in quanto l’individuo per essere se stesso si isola da Dio e sceglie di affermare la propria personalità (Kierkeegard, infatti, sostiene che la vita ci pone sempre davanti a delle scelte), contro l’assoluto e affermando l’individualismo. Ciò porta angoscia: si deve peccare per affermare la propria esistenza, altrimenti si rimane nell’assoluto, annullandosi in Dio nell’eterno. Dall’angoscia, l’inquietudine si passa alla salvezza solo avendo coscienza del peccato: l’angoscia è precedente del peccato (per la scelta iniziale) e successiva (per la paura delle conseguenze). Ci sono tre stili di vita mediante i quali l’uomo può sfuggire all’angoscia.


1 Vita estetica: (nell’Aut Aut) vita vissuta giorno per giorno completamente staccata dalla realtà e dal pensiero. Simbolo è il Don Giovanni che ha come fine il piacere e si abbandona alla frivolezze cercando nuovi piacere impostando la vita su capricci. Chi vive così ha in se stesso il vuoto interiore e la noia perchè non esiste nessun piacere terreno che possa soddisfare lo spirito. Si perde se stessi, si arriva alla disperazione.
2 Vita etica: vita vissuta rispettando gli ideali morali come quella del marito fedele dedito alla famiglia. Nella vita etica si rinuncia alle illusioni della vita estetica e si scelgono come riferimento valori come lavoro, fedeltà, amici. La vita etica però non appaga perché serve la legalità, ma impedisce l’interiorità dell’uomo. È anch’essa fallimentare.

3 Vita religiosa: esistenza vissuta al di fuori dell’etica in conformità con la fede. Simbolo è Abramo vissuto nel rispetto della legge morale che risponde a Dio che gli chiede il sacrificio di suo figlio, rinnegando se stesso, la sua individualità, ascoltando solo la fede, ciò che va contro la ragione, irrazionale. La filosofia che è ragione non può capire la religione che è fede (contrasto con Dio). il passaggio dalla vita estetica alla vita etica e alla vita religiosa è molto brusco e grande perché comporta un profondo stato d’angoscia. Il dramma tra morale e fede porta alla rinuncia delle convenzioni, ma si arriva poi a una ricompensa cospicua. Si corre un rischio: quando l’uomo infrange la morale per servire la fede c’è molta angoscia che però porta a Dio.

Kirkegaard – Schopenauer: entrambi hanno stesso tipo di atteggiamento per la loro posizione di contrasto all’idealismo e all’ottimismo di Hegel. Entrambi parlano di irrazionalità e sono pessimisti. Le differenze stanno nel fatto che la filosofia di Kirkegaard è caratterizzata dal senso religioso seppure drammatico,mentre quella di Schopenauer è priva di fede. In Schopenauer, inoltre, si parla di volontà assoluta, che Kirkegaard sostituisce con la fede in Dio.


Kirkegaard – Hegel: per Hegel la realtà è lo Spirito assoluto che annulla tutti gli esseri particolari, per Kirkegaard invece veramente reali sono gli individui singoli. Con Hegel si parla di panlogismo (tutta la realtà è razionale e i contrari si mediano nella sintesi) invece per Kierkegaard gli opposti rimangono. In lui il senso religioso, l’irrazionalità, sostituisce la ragione. Mentre Kierkeegard è pessimista, Hegel è ottimista, inoltre Kierkegaard è il precursore dell’esistenzialismo, legato ai problemi dell’esperienza dovuti all'angoscia e al turbamento generale

powered by mediastudio