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Argomenti per il terzo anno:

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I SOFISTI

Il pensiero dei sofisti
Nel corso del tempo numerose sono state le opinioni sui sofisti e per lo più molto critiche, come quelle di Platone e Aristotele. Oggi si è smesso di considerare questi pensatori come semplici imitatori del vero filosofo o come esponenti di quell'atteggiamento per cui si crede di sapere senza in realtà sapere realmente; né si dà al termine sofista il significato dispregiativo che sorse dalla condanna platonica e aristotelica (prima che essi potessero esprimere il loro parere, sofista era attributo della persona abile e competente in qualsiasi ramo del sapere). Non possiamo più considerarli nemmeno come dei semplici retori che mostrano la loro abilità nell'ingannare l'ingenuo ascoltatore, o come corruttori della gioventù, abili in una dialettica priva di ogni contenuto di verità. Inoltre più che di una corrente omogenea è giusto parlare di qualche carattere, peraltro esteriore, che li accomuna, come il girovagare per le città greche o, cosa scandalosa per quell'epoca, il farsi dare un compenso in denaro per l'attività svolta (in particolare questo fatto colpì negativamente Platone, che era convinto che l'insegnamento della virtù potesse avvenire solo all'interno di un rapporto di amicizia disinteressato).

Due tesi convivono, l'una accanto all'altra, sui sofisti: quella che li vuole assertori del soggettivismo, del relativismo e dell'individualismo (contro l'oggettivismo e il naturalismo della filosofia precedente), e quella che li considera i fondatori della pedagogia e dell'umanesimo antichi.

L'Atene del V sec. a.C. era una tappa obbligata per i vari sofisti: la città aveva infatti conseguito quella supremazia e quel prestigio culturale che manterrà a lungo (anche se la guerra del Peloponneso le toglierà il ruolo di guida politica e militare). Come abbiamo già detto, ai cittadini era garantita un'ampia partecipazione all'attività politica della città, grazie alle strutture democratiche che la favorevole situazione economica aveva reso possibile, ed è naturale che questa partecipazione attiva agli uffici pubblici (attraverso un sistema di rotazione i cittadini potevano governare direttamente la città) facesse nascere nel demos nuove esigenze di tipo culturale, cui la filosofia non poteva rimanere estranea; è comprensibile quindi che i sofisti, insegnando la virtù politica e l'arte di avere successo nei pubblici dibattiti, trovassero un grande successo presso le nuove generazioni e, al tempo stesso, l'avversione degli ambienti tradizionalisti.

Occorre poi tener conto del fatto che in Atene, grazie all'incremento degli scambi, confluivano esperienze di ogni parte del mondo greco, per cui dal confronto delle diverse tradizioni nasceva il gusto di discuterle e di criticarle; questo poi portava alla consapevolezza di un certo relativismo dei valori che metteva in crisi la tradizione.

E' in questo contesto che nasce il gusto per il discorso efficace e convincente, per cui si sviluppano la retorica e la dialettica, nascono le ricerche grammaticali, le analisi delle opere dei poeti e la critica letteraria, mentre si abbandonano le grandi ipotesi naturalistiche. Un grande sviluppo caratterizza anche la matematica (ormai affrancata dagli elementi sacrali) e la medicina, disciplina quest'ultima che considera un onore la sua derivazione dalle arti manuali. I sofisti infatti non disprezzano il lavoro manuale, come farà invece più tardi Platone che arriverà sino a teorizzare le cause di questa posizione: per loro lavoro manuale significa esperienza che fa crescere l'uomo, e significa anche conoscere meglio la natura; bisogna considerare poi che in quest'epoca si scrive per la prima volta in modo diffuso su tutte le discipline pratiche, a testimonianza del nuovo interesse per il quotidiano.

Caratteristico dei sofisti è il distacco dal pensiero eleatico (Parmenide, Zenone) e il loro avvicinamento alle "cose umane". Essi amano di più discutere sui poeti che sugli argomenti della filosofia precedente, tanto che tra le osservazioni principali che vengono fatte su di loro c'è quella secondo cui avrebbero spostato l'obiettivo della ricerca dalla natura all'uomo. La loro problematica è legata ad argomenti concreti e attuali della città in cui operano, e anche per questo devono aver sentito come lontane le dispute astratte dei filosofi eleatici. La cultura che essi divulgano non è più riservata a pochi eletti, ma a tutti coloro che ne vogliono fruire (salvo sempre un minimo di possibilità economiche per pagare le loro lezioni).

Nei sofisti è sempre presente quella fiducia nella ragione che aveva ispirato i pensatori naturalisti, solo che essa viene applicata allo strumento più importante della nuova situazione sociale, vale a dire il discorso. Proprio queste ricerche hanno portato i sofisti a scoprire che sullo stesso argomento erano possibili discorsi diversi, tutti logicamente corretti; questo però non significa solo approdare allo scetticismo, come vedremo meglio in seguito, ma anche contribuire allo sviluppo della logica e della dialettica, al punto che possiamo dire che senza queste ricerche anche la logica di Aristotele forse non sarebbe stata possibile.

PROTAGORA
Protagora nacque ad Abdera nel 481 e morì nel 411 a.C. mentre fuggiva per mare per cercare scampo dalla condanna di empietà in cui era incorso nella città di Atene. Fu concittadino di Democrito ma non scolaro (Protagora era più anziano di vent'anni di Democrito). Ad Atene, in cui soggiornò più volte, godette dell'amicizia di Pericle e di Euripide. Compose diverse opere, tra cui "Sugli dèi", La verità o discorsi demolitori", "Le antilogie" (che si doveva occupare di temi etico-politici e che spinse qualche contemporaneo di Platone a sostenere che proprio da quest'opera egli avrebbe copiato la sua "Repubblica"), "Sulle scienze esatte" (in cui critica la matematica perché pretende di dare conoscenze diverse da quelle sensibili).

Platone ha dedicato due dialoghi alla polemica contro Protagora: il "Protagora" e il "Teeteto". Nel "Protagora" egli criticò l'attività del sofista e il suo magistero, portando il dialogo fra Protagora e Socrate alla conclusione per cui il primo rinuncia a dire cosa sia la virtù dopo essere partito in qualità di maestro di essa; nel Teeteto vi è invece una critica più consapevole e meno polemica al relativismo sofistico. In ogni caso queste due opere testimoniano dell'importanza che il pensiero del sofista aveva assunto ad Atene.

Abbiamo detto che Protagora si considerava maestro di virtù, infatti egli insegnava tutto ciò di cui una persona aveva bisogno per condurre gli affari della casa e per diventare un abile politico. Protagora è esponente di una nuova mentalità, testimoniata nell'opera "Sugli dèi" (libro che fu bruciato in pubblico, costringendo il sofista alla fuga in cui poi trovò la morte), dove egli, più che criticare la divinità, sostiene l'indifferenza come unico atteggiamento possibile, in quanto "sugli dèi non è possibile sapere nulla di certo".

Un'altra importante testimonianza proviene da un frammento di "La verità o discorsi demolitori", in cui egli afferma che "l'uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono e di quelle che non sono", esprimendo così in modo lapidario quel soggettivismo e quel relativismo che faranno a lungo discutere (per alcuni studiosi moderni "uomo" sta ad indicare tutta l'umanità, per cui non si potrebbe parlare di soggettivismo, ma per gli antichi indicava il singolo individuo, da cui tutte le critiche che gli furono mosse).

Altre informazioni ci provengono dalle parole che Platone fa pronunciare a Protagora nella sua difesa dalle accuse di Socrate, e dalle quali emerge chiaramente che con quel "di quelle che sono e di quelle che non sono" il sofista intende lasciarsi alle spalle la problematica sull'Essere, in quanto ora importa solo all'uomo di valutare le cose, perché è lui a doverne fare uso. Ciò che conta è, in particolare, l'arte del saper ben parlare ed esporre le proprie opinioni, in modo da convincere l'ascoltatore.

E' chiaro il rischio che corre il discorso una volta disancorato dalla verità, in quanto esso diviene strumento puramente formale di dialogo (la frase Protagorea "rendere forte l'argomento più debole" fu interpretata proprio in questo senso negativo, soprattutto dal tradizionalista e antidemocratico Aristofane).

GORGIA
Gorgia di Leontini, in Sicilia, fu discepolo di Empedocle; sappiamo che nel 427 a.C. era ad Atene per una missione diplomatica e si suppone che sia vissuto fra il 484/3 e il 376/5 a.C. (107 anni!). Di lui rimane qualche brano dell'opera "Sulla natura e del non-essere" e il titolo di qualche celebre orazione (Elegia degli dèi, Orazione funebre); sappiamo anche che viaggiò moltissimo e che divenne quindi molto ricco grazie ai proventi della sua attività di sofista.

Per Gorgia la retorica è arte produttrice di persuasione, dove il logos viene assimilato per il suo potere al destino. Il frammento più importante è quello che rimane dell'opera "Non-essere", dove Gorgia fa una triplice affermazione ("che l'essere non è, che se anche fosse non sarebbe conoscibile e che se fosse conoscibile non sarebbe esprimibile") che viene oramai interpretata nel senso di una critica al pensiero di Parmenide, di cui viene messa in luce l'equivocità a proposito del termine "essere", usato ora nel senso di "esistere", ora invece nel senso puramente copulativo. Va rilevato inoltre lo spostamento del problema dall'essere in quanto tale alla sua conoscibilità ed alla conseguente possibilità di esprimerlo.

Le altre ipotesi fatte nell'interpretare questo brano tendevano a considerarlo un manifesto del nichilismo (peraltro in contrasto con la fiducia di Gorgia nel logos-ragione), oppure come un semplice gioco retorico teso a mostrare l'abilità del sofista.

Grande fu, in conclusione, il contributo dei sofisti al progresso del pensiero: essi hanno umanizzato la cultura accentuando l'indagine filosofica sull'uomo e comprendendo che egli è il fattore più importante della cultura e della civiltà. Importante è anche la loro opera critica nei confronti del dogmatismo, così come ebbe molto rilievo anche la tesi secondo cui la virtù si può insegnare: questa infatti sino ad ora era stata riservata a chi cresceva in una famiglia nobile, cosicché il plebeo non aveva alcuna possibilità di accedervi; ora, con la rivoluzione operata dai sofisti, la virtù si può insegnare e tutti possono apprenderla (novità che ebbe notevoli conseguenze anche come impulso allo sviluppo dell'educazione).

Con le loro analisi sul linguaggio, inteso come strumento di persuasione sganciato dalla verità, i sofisti hanno affinato l'uso della lingua e hanno acquisito coscienza delle grandi possibilità che essa offre e che sino ad allora non erano ancora state sfruttate. Come si è visto i molti giudizi critici sulla loro attività sono più il frutto dei rancori dei tradizionalisti dell'epoca che dello studio attento delle loro idee, che lasciano invece aperti ampi spazi per sviluppi positivi (come avremo modo di vedere in Socrate).

Bisogna poi considerare l'esigenza del tempo in cui vissero, di formare uomini esperti di politica, per comprendere l'importanza che essi attribuirono al discorso. Grazie agli studi grammaticali di Protagora si è compreso l'equivoco di Parmenide, che riteneva che il pensiero fosse legato direttamente alla realtà.

Forse le critiche mosse loro per la retorica intesa come virtuosismo si addicono maggiormente alla fase in cui la sofistica entrò in crisi, quando cioè venne a mancare quel contesto sociale e politico che ne aveva favorito la nascita (il crollo di Atene e l'invasione macedone) e il conseguente venir meno di quella partecipazione di tutti i cittadini alla vita politica della città.

I SOFISTI - RILIEVI CRITICI
Perché la filosofia greca è cominciata trattando della natura e non subito dell'uomo? Perché gli uomini ritenevano che la soluzione dei loro problemi sociali (la società era già divisa in classi) non dipendesse da loro stessi, ma dalla natura. Di qui l'esigenza d'essere scientifici e tecnici, ma non politici. La politica era la scienza che doveva salvaguardare la società così com'era, nei suoi presupposti classisti.

Era ovviamente un'ingenuità quella di poter cambiare le cose senza cambiare sostanzialmente il modo di fare politica. D'altra parte solo di recente s'è scoperto che i problemi sociali si devono risolvere socialmente, e che scienza e tecnica possono contribuire a tale soluzione ma non determinarla.

I filosofi pre-sofisti, in tal senso, assomigliavano molto ai moderni positivisti, in quanto non riuscivano a comprendere l'importanza del rapporto sociale umano ai fini della trasformazione della società.

La differenza sta nel fatto che i pre-sofisti venivano da una esperienza di lotta contro la tradizione mitologica, secondo cui era il fato a decidere di ogni cosa. Gli dèi, il destino, il caso erano elementi assolutamente arbitrari, incontrollabili da parte dell'uomo. Più emancipati di così i sofisti non potevano essere.

La mitologia era uno strumento delle classi dominanti per tenere soggette le masse. La filosofia, nata in ambito borghese contro l'ideologia religiosa dominante, si pose il compito di dare una diversa risposta ai problemi sociali (anzitutto tecnica e scientifica), ma essendo anch'essa limitata dai suoi interessi di classe, finì col tradire i suoi obiettivi. Tanto che le classi dominanti, aristocratiche, riuscirono ad elaborare una filosofia (la metafisica) in grado di assolvere ai compiti della precedente mitologia.

La sofistica emerge dalla considerazione del fallimento del materialismo naturalistico, ma anche dal desiderio di superare la risposta aristocratica alla sfida di quel materialismo. La sofistica è quindi una risposta borghese (questa volta però negativa) all'affermazione della prima metafisica aristocratica.

La sofistica eredita questa consapevolezza, che né la scienza naturalistica né la filosofia aristocratica e conservatrice erano state in grado di risolvere le contraddizioni sociali. Di qui il relativismo dei valori, l'individualismo, l'interesse per il profitto personale, ecc. La sofistica rappresenta una specie di revanche degli strati sociali medi contro lo strapotere degli aristocratici.

Alla sofistica cercherà di opporsi Socrate, col suo idealismo umanistico, ma la sua posizione resterà isolata, almeno fino a Platone.

[II] I sofisti non sono solo una degenerazione della filosofia greca, in quanto passano al relativismo assoluto dei valori, ma sono anche una reazione polemica al dualismo di teoria e prassi della società aristocratica: sono cioè una risposta borghese alle ambiguità e alle domande insolute della filosofia aristocratica.

In questo essi non hanno cercato di ricollegarsi al materialismo naturalistico, ma hanno preferito restare dentro la filosofia metafisica, svuotandola però di ogni contenuto idealistico, a tutto vantaggio di una affermazione pratica di valori materialistico-volgari.

Essi hanno sì valorizzato l'importanza dell'essere umano (qui sta la loro novità), ovvero la sua priorità rispetto agli elementi naturali dell'universo, intorno ai quali la filosofia aristocratica aveva espresso opinioni molto varie e complesse, senza trovare veri riscontri nella realtà; tuttavia i sofisti non hanno veramente dimostrato la superiorità dell'uomo sulla natura.

Essi sono stati i primi a denunciare i limiti della filosofia metafisica, ma lo hanno fatto al negativo, anteponendole cioè i vantaggi della carriera politica e del guadagno economico. In ciò essi poterono avere la meglio soltanto perché il passaggio alla democrazia politica rese necessaria la professione dell'avvocatura da esercitarsi nei tribunali.

I sofisti cercarono nei tribunali quella giustizia che non si poteva più trovare nella vita civile, nei rapporti sociali, a causa dell'opposizione aristocratica. Ovviamente la borghesia, grazie ai sofisti, trovò nei tribunali non una giustizia generale, collettiva, ma solo la propria giustizia di classe.

Il torto principale dei sofisti sta dunque nell'aver fatto di una giusta critica alle contraddizioni antagonistiche dell'aristocrazia, il pretesto per affermare nuovi rapporti sociali in cui si sarebbero formate nuove contraddizioni antagonistiche. Essi si sono serviti della filosofia non per risolvere l'antagonismo aristocratico ma per dimostrare che l'antagonismo era inevitabile e che da esso la borghesia doveva difendersi con tutte le armi, incluse quelle della filosofia, la quale così si trasformerà in eclettica (indifferenza e a volte cinismo intellettuale).

Da notare che i sofisti hanno anticipato molte problematiche della filosofia del linguaggio e del neopositivismo.

BIBLIOGRAFIA

- Sofisti. Testimonianze e frammenti, a cura di M. Untersteiner, 4 voll. Firenze, La Nuova italia;
- M. Untersteiner, I sofisti, Milano Lampugnani Nigri, 1967;
- W. Jaeger, Paideia, Firenze, La Nuova Italia (vol. I)

 

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