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KANT - CRITICA DEL GIUDIZIO

Schematicamente il Giudizio è considerato da Kant come una facoltà di conoscere intermedia tra l'intelletto e la ragione.

Il Giudizio
Tra la ragion pura, ossia i concetti della natura della filosofia teoretica che consentono di conoscere il mondo dei fenomeni, e la ragion pratica, che è sostanzialmente il concetto della libertà dell'uomo razionale, esiste, fino a quando non si perviene al principio del Giudizio, un abisso. Unire conoscenza della natura, e mondo della libertà, significa quindi ricomporre due sfere distinte in modo rigoroso, provando a trovare un principio che consente di pensare la natura in modo che le sue leggi si accordino con la libertà dell'uomo.
Il principio del Giudizio è un principio a priori. Non ha un ambito di applicazione proprio, e quindi non ci fa conoscere nulla, ma si esercita sul sentimento, come riflessività sul piacere e sul dolore. «Il Giudizio in genere - scrive Kant - è la facoltà di pensare il particolare come contenuto dell'universale. Se è dato l'universale (la regola, il principio, la legge), è d e t e r m i n a n t e . Se è dato invece soltanto il particolare , ed il Giudizio deve trovare l'universale, esso è semplicemente r i f l e t t e n t e.

Il Giudizio determinante
In generale, il Giudizio è facoltà di giudicare, nel senso di collegare un oggetto della realtà assunto nel pensiero ad un predicato, e quindi di pensare quel particolare oggetto come contenuto in relazione al generale ed alle sue leggi. Quando questo avviene nell'ambito della ragion pura, che si trova facilmente a disposizione le sue forme a priori, il Giudizio è determinante, nel senso che esso determina i dati, le forme, i contenuti della conoscenza in modo scientifico.

Il Giudizio riflettente
Quando, al contrario, si da un particolare all'intuizione sensibile, ad esempio l'ascolto di un brano musicale, ciò che colpisce non è la legge naturale, ad esempio l'acustica del violino, ma un dato sensibile che provoca la solleticazione di un piacere. Il Giudizio, alle prese con concetti che non stanno a priori nell'intelletto, si può anche sforzare di trovare elementi unitari o come potremmo fare noi, ordinando i nostri cd secondo lo stile musicale. Questa libertà di scegliere non è ancora scientifica, anche se nel caso della classificazione biologica ci proponiamo di fare scienza, di trovare cioè un legame che comprenda tutti i fenomeni presi in considerazione secondo un principio universalmente valido.

Il giudizio estetico
Quando parla di giudizio estetico, Kant rinuncia ad usare il termine estetico nello stesso significato indicati dalla Critica della ragione pura.
Secondo Kant, perché essa è in armonia col nostro spirito e produce una sensazione piacevole. Ma questo stesso piacere è disinteressato; non genera un desiderio di possesso. Inoltre, questo piacere è universale, essendo che tutti possono liberamente concordare, quantomeno una significativa maggioranza, sul fatto che qualcosa sia bello.
Il bello può trovarsi sia in uno spettacolo naturale, "il bello di natura", sia in una creazione artistica, "il bello d'arte".
Ma c'è in Kant una forte tendenza ad identificare il bello d'arte con quello naturale, tant'è che scrive: «Davanti a un prodotto dell'arte bella bisogna essere coscienti che esso è arte e non natura; ma le finalità della sua forma deve apparire libera da ogni costrizione di regole arbitrarie proprio come se fosse un prodotto della natura.»
In tal senso, si comprende perché disse che il bello è "ciò che piace universalmente senza concetto". Distinguendo infatti la bellezza libera, ad esempio quella dei fiori, annota che essa non presuppone il concetto di ciò che la cosa deve essere, ovvero la sua perfezione.
La bellezza, inoltre, non risponde ad un puro giudizio di gusto, perché presuppone il concetto dello scopo a cui la cosa giudicata deve adeguarsi, mentre il gusto non ha alcuna necessità di un giudizio intellettuale.
L'estetica di Kant presenta, dunque, qualcosa in più sia rispetto agli empiristi, che pensavano il bello solo come causa di un piacere sensibile, sia rispetto ai razionalisti che riducevano il bello all'oggetto di una conoscenza intellettiva ancora confusa.

Genio e le sue regole
Di fronte al bello d'arte, alla libera creazione umana, ci si era spesso chiesti se la tecnica prescrivesse regole precise, quelle che ad esempio Aristotele formulò nella Poetica. Nel XVIII secolo, le dottrine estetiche erano state compendiate da Lessing in una formula: la lotta tra il genio e la regola non ha motivo di esistere perchè la produzione del genio non riceve alcuna regola da fuori, ma è egli stesso regola.
Anche per Kant il genio è il talento che da regola e forma all'arte. E precisa; infatti, ogni arte presuppone delle regole, sul fondamento delle quali ogni produzione che debba essere chiamata artistica, è rappresentata come possibile. Ma il concetto dell'arte bella non permette che che il Giudizio sulla bellezza del suo prodotto sia derivato da qualche regola che abbia a fondamento un concetto... Sicché l'arte bella non può trovare da sé stessa la regola secondo cui deve realizzare i suoi prodotti. E poiché senza una regola anteriore un prodotto non può mai chiamarsi arte, bisogna che la natura dia la regola all'arte nel soggetto (mediante la disposizione delle sue facoltà), vale a dire l'arte bella è possibile solo come prodotto del genio.

Il sublime
Kant introdusse un'ulteriore distinzione, quella tra il bello ed il sublime, dove questo veniva ad indicare qualcosa al di là di ogni comparazione. E aggiunse che esisteva un sublime matematico (derivante dalla illimitata grandezza della natura) e un sublime dinamico, suscitato dalla smisurata potenza della natura stessa. Riportando il sublime ad una categoria superiore, illimitata e "priva di forma", Kant intese spiegare che il sublime non può essere oggetto di giudizio estetico, anche se il sentimento di esso (è sempre un sentimento!) può essere suscitato dalla grandiosità di certi scenari naturali. Esso non è intrinseco alle cose, ma è l'uomo che reagisce di fronte al sublime.

Massime per il Giudizio
Onde evitare l'illusione di ritenere come oggettive condizioni soggettive facilmente scambiabili con una supposta oggettività, Kant elaborò tre massime con cui sarebbe possibile regolarsi.
La prima: pensare da sé ed evitare la passività della ragione, perché questo atteggiamento porta all'eteronomia ed al pregiudizio.
La seconda: pensare mettendosi nei panni degli altri. Ciò eleva l'uomo oltre il suo particolare.
La terza: pensare in modo da essere sempre d'accordo con sé stessi, ovvero la massima della coerenza.

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