La figura di Locke, con la sua difesa dellempirismo, rappresenta laltra grande alternativa dei pensiero seicentesco: da una parte il razionalismo di Descartes(che intendeva la ragione come una tecnica che procede in modo autonomo e geometricamente, cioè utilizzando solo le idee chiare e distinte in un ordine rigoroso), e dallaltra, appunto, la filosofia di Locke e dei pensatori a lui successivi quali Hume e Berkeley. Eppure lempirismo non voleva negare limportanza della ragione. Esso sostiene invece che la ragione ha dei poteri, i quali sono però limitati dallesperienza, intesa, questultima, come la fonte e lorigine del processo conoscitivo, ed anche come il criterio di verità o lo strumento di certificazione delle tesi proposte dallintelletto, che risultano valide solo se suscettibili di un controllo empirico L'INTELLETTO UMANO Lopera si apre con una critica dellinnatismo, cioè contro la concezione che esistano nella nostra mente principi o idee presenti in noi fin dalla nascita. La polemica di locke era diretta, in particolare, contro il pensiero di alcuni filosofi inglesi (i "neoplatonici di Cambridge"), i quali sostenevano che linnatismo, ad esempio dellidea di Dio, fosse in grado di fondare una concezione religiosa comune a tutti gli uomini e con ciò lontana tanto dalle sottigliezze teologiche quanto dalle intolleranze settarie. Anche Locke condivideva quegli obiettivi di fondo, tuttavia lo stesso fine veniva da lui perseguito con una strategia opposta, per la quale cioè solo una concezione empiristica della conoscenza era in grado di porre un limite alle ingiustificate pretese intellettuali del dogmatismo settario. Largomentazione di Locke contro linnatismo si articola in due momenti. Il primo consiste nel mostrare che non vi sono principi speculativi innati, cioè che non ci sono conoscenze possedute di necessità da tutti gli uomini: infatti i bambini e gli idioti non le hanno. Le cosiddette massime universali non nascono, per Locke, con luomo e nemmeno con la ragione ma sono al termine e non al principio della conoscenza. Nemmeno proposizioni innegabili come quelle della matematica e della geometria sono innate perché altrimenti, dice Locke, saremmo costretti ad ammettere uninfinità di principi innati, come ad es. tutte le proposizioni del tipo "il bianco non è nero", oppure "lamaro non è il dolce" ecc., il che è assurdo. Il secondo momento consiste nel mostrare che non vi sono neppure principi pratici innati, cioè che non esistono norme capaci di determinare il nostro comportamento che siano impresse naturalmente nellanimo umano e quindi da questo necessariamente possedute (duecento anni prima di Freud). Se possono esistere tendenze e inclinazioni, non si può certi dure che esistano però dei principi pratici innati. Per Locke, dunque, nessuna conoscenza è innata perché la nostra mente è come una tabula rasa e le idee derivano tutte dallesperienza, che comprende sia le sensazioni che la riflessione. Il fondamento della nostra conoscenza è dato dalle idee semplici, quali ad esempio limpressione visiva di un colore o la sensazione tattile che proviamo toccando un corpo. Già qui si mostra un limite della nostra conoscenza: essa è condizionata dalla costituzione dei nostri organi di senso e dal modo in cui essi entrano in relazione col mondo. Su questa base è naturale che si presenti anche in Locke la distinzione, caratteristica del pensiero moderno (si pensi a Galilei e a Descartes) tra le qualità secondarie (odori, sapori, colori ecc.) e le qualità primarie (estensione, figura, moto). Quando lo spiritosi limita a percepire le idee semplici è passivo, ma quando le ripete, le confronta ecc. allora è attivo e capace di produrre nuove idee, le idee complesse, che sono divise da Locke nei tre tipi di modi, sostanze e relazioni. Le idee di spazio, tempo e infinità sono esempi di modi e sono ricondotte da Locke ad una base empirica: ad esempio lidea di tempo deriverebbe dalla riflessione sullavvicendarsi delle idee nel nostro spirito. Per quanto riguarda invece la sostanza, Locke non intende negarne lesistenza ma solo sostenere che noi non la possiamo conoscere. Infatti, allinterno della sua posizione empiristica, è chiaro che ci è preclusa la conoscenza di qualsiasi realtà che stia dietro o sotto il mondo dei dati sensibili. Per Locke è la limitatezza umana ad impedirci di cogliere la vera natura della realtà, e dobbiamo accontentarci di una conoscenza sempre parziale. Tutto ciò che possiamo conoscere con certezza è invece lessenza nominale della sostanza, ossia quegli aspetti ai quali lunità viene conferita per mezzo di unoperazione anche linguistica (per esempio quella consistente nellapplicare uno stesso nome ad un insieme di elementi), dunque in maniera soggettiva e accidentale, nel senso che ciò accade sulla base di abitudini, convenzioni, decisioni e sistemi di riferimento culturali. Latteggiamento corretto è dunque quello di chi si sforza per lo meno di evitare gli abusi del linguaggio. La conoscenza nella quale luomo può raggiungere un certo grado di certezza è di tre tipi: la conoscenza intuitiva, dimostrativa e sensibile. Solo il primo tipo di conoscenza, lintuizione, è completa e perfetta, in quanto si limita alla percezione di idee che sono nello spirito (ad esempi "il bianco non è nero"). La seconda forma di conoscenza, ottenuta mediante il ragionamento, è certa, pur non possedendo una chiarezza assoluta come quella intuitiva. La conoscenza sensibile, infine, riguarda soltanto gli oggetti del mondo esterno attualmente presenti ai nostri sensi. Io conosco per intuizione il mio io. Infatti io penso, ragiono, dubito, e con ciò intuisco la mia esistenza e non ne posso dubitare. Io conosco per dimostrazione lesistenza di Dio. Locke prova lesistenza di Dio con la prova causale: il nulla non può produrre il nulla; se qualcosa esiste è perché è stata prodotta da qualche altra cosa e, non potendo risalire allinfinito, si deve ammettere un essere eterno che ha prodotto ogni cosa. Io conosco per sensazione lesistenza delle cose esterne. Il fatto che in questo momento riceviamo dallesterno lidea di qualcosa fuori di noi, vuol dire che in questo momento esiste qualcosa fuori di noi che produce in noi lidea corrispondente. Non è ammissibile, dice Locke, che le nostre facoltà ci ingannino a tal punto: la certezza che la sensazione attuale ci dà dellesistenza delle cose esterne, pur non essendo assoluta, è sufficiente per tutti gli scopi umani. Lambito della conoscenza, come abbiamo visto, è assai limitato e sovente anche insufficiente per le esigenze pratiche della vita. Per questo, dice Locke, Dio ha dotato luomo di unaltra facoltà, il giudizio, grazie al quale la nostra mente è in grado di accogliere la verità o la falsità di una proposizione anche quando non ne possiede unevidenza piena. Con questo però si passa dal campo delle conoscenze a quello delle probabilità, ed è qui che intervengono la credenza, lassenso, lopinione, la fede, la verosimiglianza, la testimonianza. In tale contesto, trova esplicita formulazione quello che è uno degli obiettivi di fondo dellopera di Locke: tracciare i confini fra i due distinti ambiti della fede religiosa e della ragione naturale, evitando sia il fanatismo e sia di sconfessare la Rivelazione. Locke ritiene che non si sia né conflitto né incompatibilità tra ragione e fede. La Rivelazione può intervenire legittimamente solo su quegli argomenti circa i quali la ragione è in dubbio ma spetta ancor sempre alla ragione il compito di giudicare se si tratta veramente di una Rivelazione ed anche del significato delle parole mediante le quali essa è comunicata RAGIONEVOLEZZA DEL CRISTIANESIMO LETTERA SULLA TOLLERANZA POLITICA Nel secondo trattato, Locke ritiene che, nello stato di natura, vi sia la perfetta libertà ed uguaglianza di tutti gli uomini, il che elimina alla radice ogni possibilità di una forma privilegiata di autorità e di potere. Però tale stato di natura è precario e tende sovente a degenerare in uno stato di guerra o di conflitto. pertanto gli uomini devono accettare una parziale limitazione della propria libertà e devono rinunciare al potere di farsi esecutori della legge di natura, in particolare rinunciando al diritto di farsi giustizia da sé. E da questa circostanza che nascono le società e gli Stati. Da un lato lo Stato ha una natura convenzionale, nel senso che scaturisce da un accordo o contratto sancito tra gli uomini, ma dallaltro esso si basa anche su sentimenti sociali di benevolenza e di fiducia. Dando vita ad uno Stato, gli individui rinunciano al potere di provvedere alla propria conservazione secondo larbitrio soggettivo e al potere di punire, affidando questi alla maggioranza della comunità. in altri termini, da questa doppia rinuncia nascono i tre poteri classici dello Stato, delineati per la prima volta chiaramente da Locke : il potere legislativo, il potere esecutivo (che è nettamente distinto dal primo e subordinato ad esso) e il potere federativo, che riguarda i rapporti con gli altri Stati. Va ricordato che queste tesi di Locke costituiscono un passo decisivo per la nascita del liberalismo politico ed inoltre la distinzione dei tre poteri statali è uno dei principi fondamentali delle istituzioni politiche moderne. |