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Argomenti per il quinto anno:

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HEGEL

Il carattere peculiare della filosofia hegeliana fu quello di affermare la razionalità della storia. Mentre l’eredità del pensiero greco fu quella di cogliere la ragione nella natura, Hegel ha cercato di riconoscere la stessa razionalità anche nel campo della storia. La sua tesi fu che anche nella storia dell’uomo, anche nell’apparente guazzabuglio delle vicende umane, si manifesta una razionalità analoga a quella presente nella natura. La razionalità dell’essere non è quindi solo un tratto costitutivo dell’autocoscienza umana (l’uomo era definito dagli antichi "animale razionale") ma è una caratteristica dell’essere stesso: perciò la ragione dell’uomo deve essere pensata come una parte di quella razionalità piuttosto che come una autocoscienza opposta al Tutto.

La realtà è per Hegel movimento, divenire, processo, sviluppo. Non è staticità o astrazione ma un soggetto vivo, concreto, attuale, che si manifesta nel mondo sia naturale che storico. La realtà è lo SPIRITO INFINITO, detto anche ASSOLUTO ovvero IDEA ovvero RAGIONE. Per questo Hegel definisce la sua filosofia una forma di Idealismo in un duplice senso: da un lato perché la vera realtà è appunto l’Idea, cioè il Pensiero, lo Spirito, l’Assoluto, la Ragione; dall’altro perché afferma la idealità cioè la non realtà di ciò che noi chiamiamo "finito": per Hegel infatti il finito non esiste di per sé (se no sarebbe l’Assoluto) ma solo in un contesto di relazioni o rapporti; in altre parole, se la realtà è un tutto unitario, quello che esiste ne è una parte o manifestazione: il finito esiste così solo nell’infinito e in virtù dell’infinito. La sua filosofia è stata definita come una sorta di monismo panteistico nel senso che Hegel vede nel mondo (il finito) la manifestazione dell’Assoluto (l’Infinito). E l’Assoluto è, si ricordi, un Soggetto spirituale in divenire, di cui tutto ciò che esiste è una tappa o momento di realizzazione.

Se la realtà consiste in un processo di sviluppo infinito, allora solo alla fine, cioè con lo Spirito, giunge a conoscere e a rivelarsi per quello che è. "Il vero è l’intero" afferma Hegel nella Prefazione della Fenomenologia dello Spirito, proprio per indicare come l’Assoluto si conosca per ciò che veramente è solo al termine del processo di sviluppo. Soltanto quando tale processo è compiuto, infatti, si può comprendere appieno la razionalità che in esso si è dispiegata. Si badi: la verità – e la realtà – hanno un andamento circolare, poiché si parte da un soggetto per ritornare ad esso, dopo aver capito che l’oggetto, che sembrava essere contro o indipendente da esso, non è altro che una "espressione" del soggetto stesso (ecco l’idealismo, perché l’oggetto deriva dal soggetto, la materia deriva dallo spirito).

LA DIALETTICA
Questo processo di sviluppo continuo è un processo dialettico. La dialettica ha per Hegel due significati per altro strettamente collegati: in un primo senso essa è il processo mediante il quale l’Assoluto si riconosce nella realtà che, in un primo momento, gli era apparsa come estranea od opposta, togliendo o conciliando appunto quella opposizione; in un secondo senso è il processo mediante il quale la realtà, superando le divisioni, si pacifica – come dice Hegel – nell’unità del Tutto. Si noti: le divisioni, i conflitti ecc. sono reali, ma sono aspetti della alienazione (= estraniazione, allontanamento, separazione) in cui la ragione viene a trovarsi di fronte a se stessa; ed appunto sono reali come "strumenti di passaggio", forme di mediazione del processo attraverso il quale la Ragione si costituisce come unità, come – dice Hegel – Autocoscienza Assoluta. La dialettica si svolge in tre momenti chiamati tesi, antitesi, sintesi.

La tesi è il primo momento, quello della semplice affermazione, più o meno astratta o intellettuale: si afferma qualcosa ma non si coglie ancora la ricchezza e la concretezza della cosa.

L’antitesi è il secondo momento, quando, visto che ogni affermazione implica una negazione, si procede oltre il semplice principio di identità della tesi e si mettono in rapporto le varie determinazioni con le determinazioni opposte (ad es. l’uno richiama i molti, l’essere il nulla ecc.). Questo secondo momento è per Hegel importantissimo perché ci ricorda che ogni finito, cioè ogni parte della realtà, non può esistere da solo (altrimenti, come abbiamo già detto, sarebbe l’Assoluto) ma soltanto in un contesto di rapporti. Inoltre nessun rapporto può nascere e svilupparsi se non passando prima attraverso il dissidio, la contraddizione e la finale riconciliazione. Si badi: l’antitesi, che è il momento della negazione dialettica, non è affatto per Hegel puramente negativa. essa vuole soltanto negare il carattere in apparenza specifico ed esclusivo (Hegel dice la determinatezza) dell’oggetto, la sua fissità, la sua astrazione, la sua posizione intellettualistica che lo isola e fa dimenticare che ogni cosa è in relazione col resto.

Però la negazione non basta: ecco perché c’è ancora il terzo momento, quello della sintesi. La sintesi è il momento conclusivo, speculativo e razionale, in cui si coglie finalmente l’unità e la concretezza delle determinazioni opposte ed il positivo che emerge dalla loro sintesi. La sintesi per Hegel è così Aufhebung, cioè superamento che toglie l’opposizione tra tesi e antitesi ma anche conservazione, nello stesso tempo, della verità di entrambe e della loro precedente opposizione. In altre parole, gli opposti non vengono eliminati ma considerati ad un livello superiore, nell’unità che risolve il loro carattere di opposizione. Ed è solo la Ragione (o Idea o Assoluto ecc.), nel momento che Hegel chiama speculativo o dialettico, che riesce a cogliere la concretezza del reale, l’interazione reciproca dei vari aspetti della realtà nella dinamicità del loro sviluppo, mentre l’intelletto, essendo la facoltà dell’analisi e della distinzione, riesce solo a pensare staticamente, astrattamente.


REALTA’ E RAZIONALITA’
Dobbiamo ora cercare di chiarire un’altra celebre espressione di Hegel, che si trova nella Prefazione dei Lineamenti della Filosofia del Diritto (del 1821):
"Ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale".
Il significato di tale espressione potrebbe essere frainteso se si confonde il reale con il semplicemente esistente. Hegel non vuole dire che tutto ciò che esiste deve necessariamente esistere bensì che tutto ciò che ha in sé una razionalità assoluta non può non esistere. Hegel si riferisce qui a quelle che lui chiama le "determinazioni universali dello Spirito Oggettivo" cioè le istituzioni, i costumi e soprattutto lo Stato. Ora, chi non vede che le istituzioni e gli Stati sono ben lungi dall’essere perfetti e razionali? Ma Hegel non vuole dir questo. E’ banale osservare che "le cose non vanno bene", "lo Stato è ladro" e simili; ma chi può negare che la famiglia, la società, lo Stato siano istituzioni concrete e, ancor più necessarie, e quindi razionali? Ed è proprio questo che vuole dire Hegel. Egli ha voluto così affermare la necessaria identità fra Ragione e realtà. La Ragione non è pura astrazione, idealità, bensì governa il mondo e lo costituisce; la realtà non è che il dispiegarsi della Ragione che si manifesta in una serie di passaggi, i quali rappresentano, ognuno, il risultato di quelli precedenti e il presupposto di quelli seguenti. Così la realtà intera à da Hegel accettata e giustificata, visto che, dal punto di vista dello Spirito Assoluto, tutto ciò che è, è, appunto, necessariamente quello che deve essere. Il compito della filosofia, per Hegel, non è quello di modificare o trasformare la realtà indicando un modello ed insegnando "come il mondo debba essere", come hanno fatto tutte le filosofie precedenti ad Hegel (in particolare quella kantiana, per la quale permane il divario fra l’essere e il dover essere, tra quello che è o si può conoscere e quello che si dovrebbe fare o si può arrivare a conoscere), ma è quello di prendere atto della realtà così com’è, essa deve cioè "mantenersi in pace con la realtà" e deve solo elaborare in concetti il contenuto reale che le offre l’esperienza, dimostrandone l’intrinseca razionalità. La filosofia è paragonata da Hegel, secondo una celebre similitudine, alla nottola (la civetta, simbolo di saggezza) della dea Minerva, la quale inizia a volare al crepuscolo, cioè quando il giorno è finito, ovvero quando la realtà è già fatta, conclusa.

FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO (1807)
Si è già detto che per Hegel la verità si consegue solo con la conoscenza della totalità. Il processo di raggiungimento della verità può essere rappresentato in due modi, a seconda che si parta dal soggetto oppure dall’oggetto o, meglio, dal sistema delle istituzioni. Nel primo caso abbiamo la Fenomenologia dello Spirito, nel secondo la Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio.

La Fenomenologia dello Spirito è definita da Hegel come la "storia romanzata della coscienza che attraverso contrasti, scissioni, quindi infelicità e dolore esce dalla sua individualità e raggiunge l’universalità, riconoscendosi come ragione che è realtà e realtà che è ragione". Essa è vista da Hegel anche come una sorta di introduzione alla filosofia nel senso che introduce il singolo alla filosofia cioè tende a far sì che egli si riconosca e si risolva nello Spirito universale.

Nella descrizione del processo che porta il soggetto verso la Verità, Hegel illustra due celebri figure che rappresentano questa "storia romanzata della coscienza": quella della coscienza infelice e quella del servo e padrone. La coscienza è infelice quando non sa ancora di essere tutta la realtà, quindi si ritrova scissa in conflitti, da cui può uscire solo arrivando alla consapevolezza di essere tutto. La coscienza infelice è tipica della coscienza religiosa, quando assume la forma di una separazione radicale tra Dio e l’uomo. Nell’ebraismo per esempio Dio è visto come inaccessibile, e così pure nel cristianesimo permane pur sempre la trascendenza divina, il distacco fra creatore e creatura, nonostante l’incarnazione di Dio in Cristo. Quando però la coscienza, nel suo sforzo di unirsi a Dio, si rende conto di essere, lei stessa, Dio, ovvero il Soggetto Assoluto o l’Universale, allora l’autocoscienza diventa dialetticamente Ragione, la quale assume in sé ogni realtà ("la Ragione – dice Hegel – è la certezza di essere ogni realtà"). In altri termini, il soggetto riconosce se stesso come Assoluto, ovvero l’individuo acquista la totale coscienza di sé come Spirito (per spirito Hegel intende anche l’individuo nei suoi rapporti con la comunità sociale di cui fa parte).

Ora, l’uomo è autocoscienza solo se riesce a farsi riconoscere come tale da un’altra autocoscienza. In altre parole, il riconoscimento passa attraverso il conflitto fra le autocoscienze. Tale è il rapporto definito da Hegel come quello fra servo e padrone (o signore). Il signore o padrone, che sembra indipendente dal servo, nella misura in cui si limita a godere passivamente del lavoro altrui, finisce per rendersi dipendente dal servo; il servo, anche se pare all’inizio dipendente dal padrone, nella misura in cui padroneggia e trasforma le cose da cui il signore riceve il proprio sostentamento, finisce di rendersi indipendente dal padrone. Per cui le due figure sono in realtà dipendenti l’una dall’altra ed entrambe possono rendersi indipendenti l’una dall’altra. Così capita nel raggiungimento dell’indipendenza da parte della coscienza.

DIRITTO
Il diritto ovvero la legge si attua quando la volontà si conforma liberamente alle leggi. L’individuo viene visto dal diritto come persona, cioè come soggetto che ha diritti e doveri. La persona trova il suo primo compimento in una cosa esterna che diventa di sua proprietà. Ma la proprietà è tale solo in virtù del reciproco riconoscimento fra le persone, ossia il contratto. La violazione del contratto può culminare nel delitto, che esige una pena adeguata, la quale ripristini il diritto violato. Il diritto è però una legge esteriore, che l’individuo non riconosce come propria. Da qui il passaggio al momento successivo, la moralità.

MORALITA’
E’ quando la legge diventa interiore, viene sentita come propria, come un dovere da adempiere. La moralità ha però il difetto di mantenere comunque il distacco fra l’essere e il dover essere: le intenzioni non sono sempre realizzate e dunque il vero bene non è ancora perfettamente raggiunto, come sarà nell’ultimo momento, quello dell’eticità.

ETICITA’
L’eticità è il superamento della scissione fra interiorità ed esteriorità, tra la soggettività ed il bene; essa implica l’inserimento attivo dell’individuo in una comunità e la sua collaborazione con gli altri, in vista del bene comune. Essa si attua concretamente nelle istituzioni storiche concrete della famiglia, società civile e Stato.

FAMIGLIA
Non è per Hegel una semplice società naturale ma una istituzione, cioè una creazione dello spirito dotata di grande valore etico. Essa è un’unità spirituale, fondata sull’amore e sulla fiducia dei suoi membri.

SOCIETÀ CIVILE
E’ l’antitesi della famiglia perché in essa i rapporti sono conflittuali, essendo un "sistema di bisogni", il che implica allora l’amministrazione della giustizia, un corpo di polizia e le corporazioni, necessarie per l’ordine e la sicurezza. Essa è una società di privati, che operano per fini particolari.

STATO
E’ l’istituzione in cui si risolvono i conflitti della società civile, in cui l’interesse privato coincide con l’interesse pubblico. Viene definito da Hegel come "la sostanza etica consapevole di sé, la riunione del principio della famiglia e della società civile". Quali caratteristiche ha lo Stato per Hegel? Esso non vuole essere è liberale (Locke e Kant ecc.) nel senso che non vede nello Stato lo strumento che deve garantire la sicurezza e i diritti dei privati, né Hegel lo vede come un tutore dei particolarismi della società civile. Non vuole neppure essere democratico per cui la sovranità dovrebbe risiedere nel popolo (Rosseau). Per Hegel invece la sovranità dello Stato deriva dallo Stato stesso, che ha in sé la propria ragione d’essere, il che significa che lo stato hegeliano non è fondato sugli individui ma sull’idea di Stato, cioè sul concetto di un bene universale. E’ lo Stato che fonda gli individui: sia in senso cronologico-storico-temporale (esso viene prima degli individui; gli individui nascono già all’interno di uno Stato), sia in senso ideale-assiologico (lo Stato è superiore agli individui come il tutto alle parti). Lo Stato hegeliano, comunque, pur essendo assolutamente sovrano, non è dispotico o illegale perché anzi deve operare con le leggi; è uno Stato di diritto (Rechtstaat), fondato sul rispetto delle leggi e sulla salvaguardia della libertà e della proprietà. In questo Stato, la costituzione migliore è quella monarchico-costituzionale, con la tripartizione dei poteri in legislativo (affidato ai rappresentanti dei vari ceti o stati sociali; stati o ceti sociali da non confondere con le classi sociali antagonistiche dei proletari e capitalisti di cui parlerà Marx), esecutivo (affidato al governo) e sovrano (esercitato dal monarca). Nel sovrano si incarna l’unità dello Stato ed a lui spetta la decisione ultima circa gli affari della collettività. Il vero potere politico è quello del governo. Lo Stato è in ultimo per Hegel la "volontà divina" ovvero "l’ingresso di Dio nel mondo è lo Stato". E come vita divina che si realizza nel mondo, lo Stato non può trovare nella morale un limite alla sua azione. Il solo giudice ed arbitro sarà lo Spirito Universale cioè la Storia, che ha, come suo momento strutturale, anche la guerra ! essa non è solo necessaria ed inevitabile, ma preserva gli uomini – dice Hegel – dalla fossilizzazione a cui li ridurrebbe una pace durevole. In questo Stato, si ricordi, non vi è il potere giudiziario perché è demandato alla società civile.

In conclusione, Hegel è "semplicemente un conservatore, in quanto pregia più lo stato che l’individuo, più l’autorità che la libertà"(N. Bobbio, Studi hegeliani, Einaudi).


LA FILOSOFIA DELLA STORIA
"Il grande contenuto della storia del mondo è razionale e razionale deve essere: una volontà divina domina poderosa il mondo". Il fine della storia del mondo è che lo Spirito giunga alla sua piena realizzazione e libertà. Lo Spirito che si manifesta nella realtà storica è lo Spirito del Mondo, il quale si incarna nei vari spiriti dei popoli che si succedono all’avanguardia della storia. I mezzi della storia del mondo sono gli individui, con le loro varie passioni. E poiché lo Spirito del Mondo è sempre lo spirito di un popolo particolare, l’azione dell’individuo sarà tanto più efficace quanto più sarà conforme allo spirito del popolo a cui l’individuo appartiene. Gli eroi o veggenti sono caratterizzati dal successo. Resistere ad essi è cosa vana. Sembra che tali individui (come Alessandro Magno, Cesare, Napoleone ecc.) non seguano altro che la loro passione e/o ambizione. In realtà, questa è una Astuzia della Ragione (List der Vernunft) che si serve di tali individui come mezzi per attuare i propri fini. E quali sono i suoi fini? Il fine ultimo della storia del mondo è la realizzazione della libertà dello Spirito. Se la libertà si realizza nello Stato, la storia del mondo sarà la successione delle forme statali. I tre momenti di essa sono : il mondo orientale, in cui uno solo, il monarca, è libero; il mondo greco-romano in cui sono liberi alcuni; il mondo cristiano-germanico, in cui tutti sono liberi.

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