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GALILEI E LA SCIENZA

La fondamentale importanza che la figura di Galileo riveste riguarda il suo ruolo nel recupero del metodo scientifico sviluppato in epoca ellenistica e successivamente quasi dimenticato, grazie al suo attento studio di alcune opere scientifiche, in particolare quelle di Archimede

La sua importanza per la rinascita della scienza in generale e della fisica in particolare è riferibile alle scoperte che fece per mezzo di esperimenti, quali, ad esempio, il principio della relatività, la scoperta delle quattro lune principali di Giove, dette appunto satelliti galileiani , il principio d'inerzia e che la velocità di caduta dei gravi è la stessa per tutti i corpi, indipendentemente dalla massa o dal materiale.

Galileo si interessò inoltre del problema della misura della velocità della luce: egli intuì infatti che questa non poteva essere infinita, ma i suoi tentativi per misurarla furono infruttuosi.

Nell'ambito delle sue ricerche di matematica scoprì la prima proprietà dell' infinito: una parte è uguale al tutto.

Inoltre indusse a studiare gli indivisibili, intuendo le conseguenze del calcolo infinitesimale nello studio del moto.

Sulla questione della matematica come strumento di indagine della natura, scrisse:

''... questo grandissimo libro [della natura] che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l'universo), non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri né quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intendere umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto.»

Per Galileo la matematica è quindi il supremo strumento nell'indagine della natura. A tal proposito egli distinse fra qualità primarie dei corpi, oggetto appunto dell'indagine scientifica in quanto ad essi è applicabile il calcolo matematico, e qualità secondarie (ad es. odori, sapori, giudizi di gusto etc.), che invece non possono essere studiate in modo scientifico.

Il metodo galileiano si compone di due aspetti principali:

sensata esperienza, ovvero l'esperimento, che può essere compiuto praticamente o solo astrattamente ("esperienze mentali"), ma che deve in ogni caso seguire a una attenta formulazione teorica, ovvero a ipotesi che siano in grado di guidare l'esperienza in modo che essa non fornisca risultati arbitrari;

necessaria dimostrazione, ovvero una analisi matematica e rigorosa dei risultati dell'esperienza, che sia in grado di trarre da questa ogni conseguenza in modo necessario e non opinabile, e che va ulteriormente verificata, con ulteriori

Scienza e teologia
Galilei, nei primi anni delle sue scoperte astronomiche, non si pose esplicitamente il problema delle conseguenze teologiche delle scoperte fatte con il suo cannocchiale e di come quell'universo immenso, pieno di irregolarità, corruttibile, senza sfere perfette e senza nessun centro potesse essere in conflitto con la visione del mondo difesa dalla Chiesa cattolica. Si noti ad esempio come nel "Sidereus Nuncius", in cui tali scoperte venivano comunicate per la prima volta al mondo, il problema fra scienza e fede non veniva nemmeno discusso o menzionato.

Tale questione fu posta a Galilei dalle forti reazioni e polemiche che con il passare degli anni furono suscitate dalle sue scoperte e dal suo modo di indagare, basato sulla lettura diretta del libro della natura, senza ricorso all'autorità, fosse essa aristotelica o teologica.

Egli si vide costretto ad intervenire sulla questione del rapporto fra scienza e fede, sul concetto di verità, con lo scopo principale di difendere la propria autonomia di scienziato ed anche di avvertire la Chiesa del danno che sarebbe venuto alla religione cristiana se avesse insistito a utilizzare la Sacra Scrittura in argomenti di scienza della natura che il progresso scientifico avrebbe mostrato palesemente falsi.

Il primo documento in cui Galilei affrontava tale questione era una sua lettera a padre Benedetto Castelli, scritta nel 1613 dove si trattava anche dell'episodio biblico di Giosuè che fermava il corso del sole. In questa lettera Galilei chiariva la sua condizione di cristiano e scienziato che rivendicava l'autonomia della scienza dalla religione, concludendo che scienza e fede non interferivano affatto tra loro, dato che lavoravano su piani separati: la fede parlava ed operava sul piano metafisico, mentre la scienza su quello fisico.

L'astronomia non ha a che fare con la Bibbia

«[...] le quali proposizioni, sí come, dettante lo Spirito Santo, furono in tal guisa profferite da gli scrittori sacri per accomodarsi alla capacità del volgo assai rozzo e indisciplinato [...].» Cioè, la Scrittura, ispirata dallo Spirito Santo, che dunque non può mentire, parlava agli antichi nel linguaggio d'allora a loro comprensibile. Ma «[...] nelle dispute di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalla autorità di luoghi delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie: perché, procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservatissima esecutrice de gli ordini di Dio [...].» Perciò «...pare che quello che gli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone innanzi agli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio per luoghi della Scrittura che avessero parole diverse sembiante, poi che non ogni detto della Scrittura è legato a obblighi così severi come ogni effetto di natura. » Nasce così la visione galileiana secondo la quale esistono due "libri", che sono in grado di rivelare la stessa verità che proviene da Dio: uno è la Bibbia, che ha essenzialmente valore salvifico e di redenzione dell'anima, scritto in termini corrispondenti alla visione diffusa nel volgo, e che esige quindi un'attenta interpretazione quanto alle affermazioni relative alla descrizione dei fenomeni naturali che sono in esso descritti in minima parte. L'altro è il «gran libro della Natura scritto in caratteri matematici» ,l'universo, che va letto in maniera scientifica e quindi non va posposto al primo ma per essere ben interpretato, deve essere studiato con gli strumenti di cui il medesimo Dio della Bibbia ci ha dotati: "sensi", "discorso" e "intelletto".

«[...] Io crederei che l'autorità delle Sacre scritture avesse avuto solamente la mira a persuader gli uomini a quegli articoli e proposizioni, che son necessarie per la salute loro, e superando ogni umano discorso, non potevo per altra scienza né per altro mezzo farcisi credibili, che per bocca dello stesso Spirito Santo. Ma che quel medesimo Dio che ci ha dotati di sensi, di discorso e d'intelletto, abbia voluto, posponendo l'uso di questi, darci con altro mezzo le notizie che per quelli possiamo conseguire, non penso sia necessario il crederlo, e massime in quelle scienze delle quali una minima particella e in conclusioni divise se ne legge nella Scrittura; qual appunto è l'astronomia, di cui ve n'è così piccola parte, che non vi si trovano neppur nominati i pianeti. Però se i primi scrittori sacri avessero auto pensiero di persuader al popolo le disposizioni e movimenti dei corpi celesti, non ne avrebbero trattato così poco, che è niente in comparazione delle infinite conclusioni altissime che in tale scienza si contendono.»

Nel 1775 la Congregazione del Sant'Uffizio riabiliterà la figura di Galileo riconoscendo vere le teorie galileiane. Solo nel 1992 papa Giovanni Paolo II che aveva chiesto nel 1979 la revisione del "Caso Galilei", ritirò la condanna della Chiesa cattolica allo scienziato; pubblicamente riconobbe la validità e verità scientifica delle teorie di Galileo Galilei e chiese scusa, da parte della Chiesa, per avere ingiustamente condannato non solo il fondatore della scienza moderna ma indiscutibilmente una delle menti più brillanti, geniali e acute dello scorso millennio.

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